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carra, e fine a ia pietra sacrata, e piú fine a le campane hano portate via. — Questo intendendo don Ateon, tutto aceso de ira, disse: — Oh ribaldo! Lassate, lassate! Vedremo se lui vorá venire contra la casa di Bentivogli. — E corse a la camera de madonna e disse: — Madonna, non sapeti voi una grandissima e inaudita villania, che ha facta quello omo dabene de Sigismondo da la Croce?— E narròli quello li avevano li villani exposto. Respose madonna: — L’è stata brutissima cosa da omo fiagizioso. — E, per levarselo denanti, disse : — Andate, andate a dirlo a monsigpiore, ché lui provederá. — Ma, madonna, el bisogna che noi refrigeramo messer Camillo Manfredo, che è stracco, il quale ha conducto li fructi del benificio da Rofeno dal Saxo, e tutta nocte il poveretto per via è stato, ed è in camera de monsignore, tutto adormentato. — Alora madonna li fece dare a la lulia di Mantexi, sua fídel donzella, uno bichiero de malvasia. E disse: — Madonna, io facio portare qui quisti frucli, e si ho ordinato al canevaro pona in ordine le botte per il vino, le quale credo giá siano lavate, per centoquaranta corbe. — E presto portò la malvasia, che era uno grande bichiero, a messer Camillo, quale bevettela meza, l’altra dette ad uno altro suo compagno, che fingeva per strachezza dormire, per essere stato seco la nocte. Don Ateon poi entrò in lo camarino, dove era il protonotario, che ancora seco era messer leronimo Sampiero, ch’el tutto cum gran solacio aveano inteso; e, querellando come rabiato cane, disse: — Monsignor mio, odite che expressa ribaldaria e mai piú non audita né sentita, facta da quello lotto scelerato de Sigismondo da la Croce, anci del diavolo de l’inferno. Lui, questa nocte passata, cum alquanti armati è andato al mio beneficio de San Donino e ha facto el trentamillia para de diavoli in tagliare tutti li arbori e piante che ve erano, e vendimiato ben cinque carra de agresto, e facto circa quaranta carra de legne, e rubato fin a la pietra sacrata e le campane cum le fune. Io me sono cum madonna lamentato: lei dice che io venga a la Vostra Signoria, ché li provedereti. Per tanto io me recomando a quella. —Questo è vero? — disse il protonotario. — Vero, per Dio immortale! — respose don Ateon. Alora il protonotario, per eflecto del suo prestante ingegno, a sé chiamò uno suo servo, che a la porta andasse, e ivi per parte sua le legne e agresto ed ogni altra cosa facesse retenere. — Non, non, monsignore ! — disse don Ateon. — Fate pur che ogni cosa sia qui in questa casa menato. —