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NOVELLA VI

llisser Salvatore da Faenza, invitato da lí canonici de la caterdale chiesia de Bolo{^na seco a disellare, per non potere andare a piedi, se fa prestare una inulta, la quale non può regere, perciié de uno orso è forte inamorata: de die confuso ne resta.

A mi pare che gli accidenti iudiciali oggimai a’ giudici e notati lassare debiamo e che abiaino ad inirare in materia piú lieta e tranquilla; perché non voglio dire ch’el parlare de iodici e notati a me sia mai piaciuto, ma pur a veder quelli o pensare de loro par che lutto me sia stomacato; e perdonaiime voi, notati che in questo citculo ora ve trovate, se io parlo cum voitroppo domesticamente. E però, magnifico conte Andrea, amplissimi gentilomini, e voi magnifiche donne, io intendo cum grazia de le vostre prestanzie e mansuetudine narrare quelloche dolcemente el core me sviglia. Dovete adunque sapere ch’el venerabile doctore canonista misser Salvatore da la Lama da Faenza (la cui memoria cum luculente fama è ricordata e sempre sia, per essere stato virtuosamente faceto, quanto la natura cum grazia del ciclo avesse un altro omo potuto creare), essendo per caritevole piaianza una matina invitalo da li reverendi patri canonici de la nostra chiesia caterdale a disenare fuori de San Marno in Vaiverde (luoco posto fra* graziosi e aprichi colli del loro consorzio, pieni de belli e densi ulivi, bussi e verdi lauri), stelle alquanto per|)lexo de non accepiare l’invito per rispecto che li piedi li dolevano per Tofiesa de le podagre, dalle quale fu in tal modo cruciato, che alfine li troncarono cum acerbissimi stenti el stame della vita. Pur, considerando essere indegno frustrare tanto collegio, de l’Italia nostra quasi primario (come quello del quale sono usciti pontifici, cardinali, vescovi e gloriosi