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in Pranza ne la cita de Parise, nominato maestro Aristotile di Conforti, uomo de doctrina e de prudenzia, il quale da Sua Maiestá idoneo cognosciuto al suo bisogno, li prese amore e maritollo de rica e nobile donna, de la quale nc ebbe unica figliuola, nominata Angelica. Epsa adunque cresciuta, di lei se ne inamorò uno bellissimo giovene, gentilomo e cavaliero, nominato Dionisio al sacro fonte, ma decto «el cavaliero caro» per voluntá del re, perché, sopra ogni altro avendolo caro, lo avea facto de onore, de robba e de stato molto rico. Ora, sequendo lo inamorato cavaliero l’amata giovene e non potendo avere el desiderato fructo del suo amore i)er la onestate e continenzia di lei, deliberò sequire insolentemente il suo venereo appetito, parendoli li stesse bene saziare ogni sua voglia, per vederse tanto dilecto al re e da tutta la regale corte reverito, e che la natura non avesse trovato un altro piú prezioso modo e arte a produrlo al mondo, che non fu quella de’ primi parenti. Onde, senza considerare che a’ gentilomini piú che ad altri se conviene essere umani, discreti e temperati, da mezo giorno entrando in casa de la giovene, per forza rapi la sua cara virginitate. 11 che persentendo el patre di lei e non essendo senza gravissimo affanno e cordoglio, come existimare dovete, la sequente matina, senza dire veruna cosa, se ne andò dal re, che pur alora se livava, e giunto al conspecto de Sua Serenitá, essendo epsa lieta, dixe: — Maestro Aristotele, come state stamane? — Respose lui: — Sacra Maiestá, cusi fusse de vui. — Come! — dixe il re — chi è quello ch’io odo? Io me sento molto bene; cusi piaza a Dio conservarmi sempre. — Non diceti cusi, sereni.ssimo re. Datime la mano un poco — respose il fisico, tocandoli el polso atentivamente. Il che parendo una stranieza al re, perché a la sua vita mai li parve sentirse meglio che alora, dixe: — Maestro, credo che vui motegiate overo non séte in vui: io me sento molto bene. — Respose il medico: — Non diceti cusi, sacra Maiestá. Il fidele medico debbe sempre dire la veritá a l’infermo: io dico che vui avete una grave infirmitate, a la quale non provedendo presto, finireti. — Che infirmitate ho io? — respose il