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DCXt AL FRATE ALONSO RUMERÒ Il Romero è fin troppo cortese Ma, fra tante lodi prodigategli, egli, Aretino, sa bene di meritare quelle solo di buon compagno e di persona verace. Io non so, padre, con quali parole (non vo’ dire effetti, perché saria impossibile) io mi potrò mai cancellare il debito che io tengo con quella fiamma di caritá, che, secondo la dimostrazione de le vostre lettere, vi arde di continuo l’animo, mercé de la benivolenza che portate a me, che sono tanto meno di ciò che mi stimate ch’io sia, quanto la presenza propria ci scema piú di quel che ci cresce la fama; onde, quando la vostra natia bontade vi incita a parlar di me o a me scrivere, imagi nati mi uno uomo come gli altri. E, caso che vi piaccia lodarmi, ditemi «buon compagno», peroché, olirá il darmi ad intendere di essere, la prodigalissima prodigalitá mia mi fa fede ch’io sono. Se a questo poi vi pare di aggiugnermi il titolo di «persona verace», potete farlo sicuramente, conciosiaché io solo tra i cortigiani, suggetti de l’adulazione, l’ho fatta udire da l’orecchie di molti. Ma, per tornare a voi, dico che il dispregio, che fate del mondo, e il poco conto, che tenete ile lo essere istesso, è laudabile e santo, peroché l’anima nostra ha bisogno di Dio e non degli agi. Il fango, di che siam composti, non merita che se gli ponga amore, avenga che l’ore del suo respirare son brevi e alor moriamo che piú ci crediamo vivere. E, si come i vermi de la sepoltura non distinguono le ceneri dei re da quelle dei servi, cosi la giustizia di Cristo non riguarda piú Cesare che Pietro. Si che rallegrisi la Riverenza Vostra de la sua elezzione circa il solitario de la vita, peroché egli è piú glorioso l’abito mendico de la religione che la veste splendida de la lascivia. E beati coloro che discoprono le carni de la pompa mondana per ricoprirsi lo spirto col manto de la grazia celeste. Di Vineziaj il 12 d’agosto 1541.