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danni e gl’interessi patiti dal buon gentiluomo mercé de le tratte non ottenute, ma un premio sufficiente a sodisfare il tempo e la divozion di lui, che vi ha dedicato il core e l’anima con volontá perpetua? Ma io merito piú tosto riprensione che lode in persuadervi a far ciò, peroché si sa bene che la benignitá vostra c tale, che possono promettersi di lei fino a quegli che non vi vidder mai. Or pensisi se si dee temere che ella manchi a le persone che le son care. Certo, la mia è stata temeritá in ramentarvi ciò. e me ne vergogno, avvenga che pare ch’io abbi voluto insegnarvi a esser grato e rimproverarvi i servigi altrui. Benché merito perdono, peroché il pericolo, che soprasta su l’onor di colui che è in me medesimo, mi spaventa si, che, ancor che sia disonestá il farlo, voglio, accioché egli si vaglia dei denari credutimi, cercar di vendere la pensione assegnatami da la clemenza di Cesare imperadore e da la liberalitá del marchese del Vasto. Ma, perché chi si spoglia ignudo per pagare i suoi debiti e per conservare Io stato de lo amico è rivestito da la cortesia d’una ricchezza incognita, e perché il predetto non mi può punto spettare, vi scongiuro, per il lume di quella gloria che vi fa risplendere, che vogliate ritenervi i ducento scurii di aiuto di costa ordinatimi da Sua Maestá e commettere al prestantissimo signor Peralta che qui mi serva dei vostri. Altrimenti, l’amicizia di me. che bascio le mani de l’Altezza di voi, prcgiuJicarágli con molto vituperio. Di Vinezia, il 27 d’aprile 1541.

DXCII

AL SIGNOR FEDRO DI HUESCA

Lo prega di consegnare a don Luigi d’Avila e all’Idiagues la lettera dxc. Fgli è giá tanto, o figliuolo, che il mio animo, bontá degli uffici che sempre faceste in grado degli utili e degli onori di me, si sente colmo de la benivolenzia ch’io vi tengo, che