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die mi aviate per un nuovo Albicante, e non per uno di coloro che vi tengono con somma riverenza sculpito nel core. Ché, se ciò non fosse, la sofferenza di si lunga baia non aggiungeva si oltre. Non altro. A Vostra illustrissima Signoria mi raccomando.

Di Vinezia, il 2 di aprile 1541.

DLXXXVII

AL SIGNOR NICANDRO TOLETANO

L’avere il Toletano, cosi dotto, cotanto onoralo lui, che meglio degli altri conosce la propria ignoranza, è atto di grandissima degnazione. Entrerá con immenso piacere in corrispondenza con lui. Egli è forza ormai che io mi dia ad intendere, o amico ottimo, non esser di quella nobiltá d’ingegno che mi attribuisce la vostra umanitade, perché io mi conosco, ma di poter connumerarmi tra i meno inetti, da che mi sento riverir da voi, che avete adorno lo spirito di tutte le magnificenzie che si sperano negli studi de le chiare lettre. Onde il vostro onorarmi si può battezzar miracolo, avenga che pare impossibile che la distanzia, che è tra la dottrina vostra e la rozzezza mia, comporti che voi usiate cotanta benignitá inverso di me. Ma, per non potersi agli spagnuoli prescrivere alcun termine di creanza, accetto la lode che mi date, come dono uscito di mano a la naturai gentilezza di voi, e non come premio appartenente a la trivial condizion di me, che vorrei potere inanimare le parole ch’io vi scrivo, e, col dargli moto, senso e suono, farvi capace de la dolcezza, con cui il tenero proceder vostro mi ha sparso le viscere. Ma io ne manco, perché nel mio stile, ne le mie invenzioni e nel mio dire non è maestade, né eccellenzia, né eleganzia niuna. Oltra di ciò, la vaghezza dei colori, la grazia de le figure, la beltá dei concetti, la copia dei vocaboli, la gravitá de le sentenzie, la novitá de le comperazioni, l’avertenza de l’arti e la gioconditá dei numeti, con ogni altro ornamento de la degnitá poetica, non appaiono ne le mie carte insipide,