Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/56

Onde non piglio mai la penna per notare i concetti de lo ingegno e mai non rivolgo il pensiero a la considerazion di me

stesso, che non me si rappresenti ne la memoria la imagine di voi, che, per grazia de la propria boutade, consentiste che il mio intelletto piccolo togliesse i primi alimenti da le poppe del vostro saper grande. Ma chi sono io, che scienza è in me e in qual grado seggo, per il che meriti che un Claudio Tolomei, il volo de la cui fama è compreso non meno da la cecitá dei rei che da la vista elei buoni, si debba movere a farmi risplendere con il raggio dei suoi inchiostri chiari? Ma, per non esser io ne l’ordine dei presuntuosi, attribuisco l’onore, del qual mi ornate, a la nobiltá de le vostre condizioni generose. Intanto tolero lo starvi assente, peroché la ricordanza del praticar nostro conversa ili continuo meco; onde sento fino a lo applauso de le genti giá intertenute da la gioconditá de le nostre piacevolezze. Talché lo accidente de la morte ci può bene ispegnere il senso de la vita; ma lo influsso, che ci vieta il goderci in presenza, non è atto a scemarne punto de l’amore antico. Conciosiaché le tenerezze, che dal principio ile la nostra gioventú ci sparsero ne l’animo i zeli de le sue affezzioni, ne cingono i cori amici con quei nodi saldi, con cui il tenace de l’edera cinge le mura domestiche; e ne la guisa ch’ella vive con loro, se ben rovinano vivaranno anco esse con noi, se ben manchiamo. Or io vi bascio la mano e. basciandovela, pregovi che mi comandiate. peroché la volontá ile lo ubbidire la Signoria Vostra sará sempre piú presta a servirla che Quella non è tarda in accanarmi ch’io la serva.

Di Vinezia, il 17 di marzo 1541.