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promettendo, di esser larghi; talché si possono asimigliare agli infermi, i quali, se bene intendano gli ordini del medico, gli usano al contrario. Ma, si come essi son lontani da la sanitá, che si ottiene osservandogli, cosi i predetti son discosto da la lode, che si acquista donando. E perciò ritornino i vostri detti in fatti, testimoniando per tal mezzo che ciò, che avete dato, è proceduto da volontá propria e non dal favore de la sorte: ché, ciò facendo, la dilettazione del donare, la qual participa di piacer divino, vi ristituirá il grado de la solita felicitade. Ditemi : avete voi ritratto da le feste, da le cene e da le pompe altro che fumi, morbi e invidie? Oltra di ciò, chi è quello che, nel conto dei beni ricevuti da voi, ne lasci la ricordanza che si legge ne le mie scritture? Ecco: lo insulto, che, per commessione di coloro che vi solevano adorare, fu per farvi il bargello, è trapassato per forza de le mie carte ne le orecchie del mondo, nonché di Cesare; e il premio ricevutone è lo esser suto istrascinato dietro a le spettative d’una miseria cinque anni. Or io vi faccio un presente del debito che tien meco lo spontaneo de la parola vostra. Si che siate animoso in tèrmi quel che non vi è bastato il cor di darmi ; e ciò resti ne le stampe dei libri in exempio de la condizion dei grandi.

Di Vinezia, il 16 di decembre 1540.

DLXIV

AL SIGNOR ALESSANDRO PICCOLOMINI

A che prò continuare a predicare l’avarizia dei principi e dei gran signori? È tempo perso. Meglio adoperare la penna in opere sacre. Loda il Piccolomini c la sua famiglia, e lo ringrazia di un sonetto inviatogli. La memoria, clic io con molto affetto tengo di voi, spirito preclaro, è di cotanta riputazione a la indegnitá di me, che mi carcaria di gran biasimo, s’io accettassi le grazie che mi riferite per cagion di quelle cose che mi obligono a ringraziarvi.