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DCCLXXXIV

AL SIGNOR GIANPAOLO MANFRONI

Le cortesie e gli onori, che il Manfroni presta a chi, come l’Aretino, gli è tanto inferiore di grado, ridondano piú in gloria del Manfroni che in reputazione dell’Aretino stesso. Il gentile e grazioso messer Marcello, agente vostro, è venuto a visitarmi e, secondo che gli commetteste, hammi offerto e voi e ogni vostro potere. D’il che vi ringrazio con libero affetto di core, lodando i progressi nobili di quella natura magnanima, che vi move i pensieri a le generositá de le cose alte e celeberrime ; onde ben vede il mondo che non digenerate dai chiari andari dei vostri illustri antecessori, anzi tentate, con tutti i modi che può tentare la prudcnzia e preminenzia de l’animo, di avanzarvi sopra la fama loro. Né si creda che l’umanitá, che dimostrate in onorar me, che ve reverisco, sia de poco pregio, im per oche da cotale atto si ritrae parte de la grandezza a la quale aspirate. La modestia, che vi spigne a stimarmi o per la virtú o per la vecchiezza, risulta piú in gloria vostra che in riputazion mia, avenga che l’onore, con cui si pregia i minori di sé, è grado di chi lo fa e non di quello al qual vien latto. Basta ai pari vostri di mostrarsi degno e alto dove l’altezza e la degnitá si richiede: nel rimanente non si esca de la mansuetudine: imperoché ella è una catena che lega i liberi arbitri degli uomini, come anco l’arroganza gli scioglie di sorte, che non si inclinano mai a la riverenza dei superbi. Or perseveri Vostra Signoria negli ordini dei suoi peregrini costumi; e, mentre tiene me per padre, come Quella dice, sia certa che gli son servitore e tanto godo quanto la veggo dedita ai gesti che gli procacciono faina, nome e seggio a lo essere. Di Vinezia, il 21 d’agosto 1542.