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l’altrui virtú. Talché mi è paruto essere, per Io abbaiar del vulgo, nei termini che si trovava Giovan de* Medici, gran capitano, quando, per cagion de la sorte, alcun dei suoi rimanea vinto in duello. Ma, si come gli emuli di cotanto duce, nel ralegrarsi de la predetta disgrazia, dimostravano la maraviglia che era a vincere uno uomo del cavaliere invitto, cosi gli aversari di ciò che io sono, nel giubilare del mal credito acquistatomi da la ignoranza d’altri, han testimoniato la bontá del mio sapere. E che sia il vero, in quel che ognun lacerava cotal cosa, ciascuno ne desiderava la copia. Come si sia, tra tanto numero di persone, che l’affabile conversazion vostra ha saputo farsi schiavi, io sono uno; e, per esser tale, non resto di tuttavia lodare quel preclaro pensiero che vi causò ne la mente la bella volontá del fondare in Padoa, terra famosa per l’antichitá e gloriosa per lo Studio, la venerabile accademia degli Infiammati; onde ne séguita lo esscrcizio continuo dei piú eleganti e dei piú culti ingegni d’Italia, l’opre eterne dei quali, ne lo spiegare al mondo le insegne dei vostri onori, viveranno in se stesse col vigor de lo spirito, che ai lor corpi dará il nome di voi.

Di Vinezia, il 10 di maggio 1542.

DCXCVIII

A MESSER NICOLÒ GUIDI VOLTERRANO. Le lettere scritte dal Guidi al Vasari in lode della Talanla e dell ’ Ipocri to lo mostrano assai diverso dalla comune dei letterati; gente, che, pur non facendo mai nulla, è sempre pronta a morder le calcagna a chi faccia qualcosa. Ne lo avermi il nostro Giorgio, pittor eccellente, mostrate le due lettre, che voi, amicissimo del mio nome, in lode de le comedie ch’io ho fatto, gli scrivete, mi son talmente commosso ad amarvi, che è suta forza dirvelo con queste poche fila di parole. Ma qual principe mi fece mai presente in effetto, che