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le parole distese ne le righe de la presente carta. E chi mai vidde rientrare nel lasciato proposito una persona riscossa dal sonno mercé de le brigate parlanti, vede me. che, dando orechie a le voci de la fama che vi celebra, rientro ne la materia dei vostri onori con la veemenzia che move or voi a vendicarvi, per via dei gran fatti, de la insolenzia di quella fortuna, che vi ha tenuto sutto, accioché l’opere de le virtú che vi illustrano non avessino a interrompere le perminenzie, che, mentre sono state sopite, le è parso di dare a la indignitá di coloro che ella essalta. Ora, in onta del fasto di lei e in gloria del fausto d’Italia, il mondo ritorna in modo a credere quel che giá di voi gli promesse l’eccellenzia de le vostre alte condizioni, che vi pon mente ne l’atto che fanno le genti, quando mirano colui che tira a sé la somma d’ogni loro speranza; talché i travagli dativi da la perfidia de la sorte vi accrescono piú credito che l’antichitá del tempo a le statue, che ella offusca, non accresce stima. E, si come il velo del verde che s’impone suso la impronta de le medaglie gli radoppia il pregio, cosi la copia degli oltraggi, con cui gli uomini e il destino vi hanno interrotti gli acquisti de la milizia, dee risultarvi in laude. Si che ripigliate le solite armi, da che la pravitá del fato e la invidia altrui non ve.le può tórre del dosso né da l’animo. Certo, l’odio di quegli e la malvagitá di questi tór non ve le possono ; peroché, oltra che il cielo vi concesse i>er libero dono la valentigia e la prudenzia, ereditate le strenue qualitá de lo eroico zio vostro, la magnanimitá del quale mai non trasse dal mestieri de la guerra alcun guadagno vile, ma, combattendo in memoria de la virtú propria, fece dai sedeci anni ai ventotto la sua mortai itade immortale.

Di Vinezia, il 9 di ottobre 1541.