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CCCLXXIX

AL SIGNOR ALESSANDRO VITELLI

Raccomanda il medico Dionigi Cappucci, cui è stata mossa lite dal fratello Raimondo. Benché la virtú e la fortuna vi abbino posto le orecchie si alto, che le mie voci non ci aggiungano, non restarò mai di porgervi lodi e prieghi, percioché l’affezzione, che vi porto trent’anni di lungo, cosi comanda al mio core e cosi commette al mio animo. Vi giuro bene che suplico di continuo Cristo che tenga i miei padroni ne la speranza de la grandezza, senza mai dargli la possessione de le cose grandi, perché fanno piú per me in piedi che a sedere. Io mi ricordo che fino a le risa, che Quella traeva de la pazzia del Carafulla, compartiva meco. È poi venuto tempo che lo imperadore, de la cui Maestá tengo la lettra, si è degnato fare con il duca Cosimo l’ufficio, ch’io pur credeva e pure aspettava che uscisse da Vostra Eccellenza. E di tutto hanno la colpa le incredibili facende, che la novitá dei casi vi hanno posto ne la mano del valore e nel grembo del senno, il fine de le quali è suto a voi gloria e a noi miracolo. Ora io, che nulla sono, chieggio a Vostra illustrissima Signoria, ch’è il tutto, per dono e per grazia alquanto di favore per il dritto di messer Dionisio Cappucci e contra il torto di Raimondo, suo fratello, ricordandovi che la virtú de l’uno si essercita ne la salute degli infermi e la ignoranza de l’altro in zapar i terreni. Né perciò è restato, secondo il dire degli avocati, di non produrre uno scritto falso come contratto de la dota materna, onde il servidor vostro e amico mio chiede ragione. Si che aiutatelo a ottenerla, senza disconcio de la giustizia; ché certo è persona di molta modestia e di gran merito.

Di Vinezia, il 3 di luglio 1538.