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CCCLXXIII

AL SIGNOR VALERIO ORSINO

Si conduca valorosamente, anzi spietatamente, nella guerra contro il Turco. Udendo istamatina del letto il romore dei tamburi, i quali ricoglievano e movevano le vostre genti, ne divenni tutto animoso e tutto tenero. L’animo mi crebbe, percioché negli uomini è una certa eccitazion di gagliardia naturale, che tutta si risente, quando è provocata da voce o da suono, che tenga in sé ferocitá o alterezza. E ne diventai tenero, per cagion de le virtú vostre singulari, l’odor de le quali, trapassatomi a l’anima, la cibò di soave allegrezza e, toccandomi il core con la gioconditá de la sua rifraganzia, il ritrovò sopra modo lieto, non senza piacer del sangue, le cui amorevolezze mi fecer piú dolci le vene. Ora andate lá onde vi manda la religione di questa sacra republica, percioché ella è proprio impresa da un cavalier di mente giusta e di volontá perfetta come Vostra Eccellenza; e perciò la generositá di Quella, concordando il desiderio e il fervor cristiano col senno e col valor romano, fará prove degne de la clemenza veneziana e de la generositá Orsina. Ma che piú si può sperare e che piú si vòle che, nel regger degli esserciti, moversi con la sicurtá del vivere e con la grazia di Dio? i cui ordini son sempre guasti e le cui leggi son sempre rotte dal licenzioso procedere de le guerre, le quali noi stessi pigliamo con noi medesimi. Onde è dono superno la guerra infedele, conciosiaché chi distrugge le sue vite, i suoi regni a ferro e a fuoco, è lodato e premiato dal cielo e dal mondo, come sarete voi, da che la ventura vi guida a difendere e a vendicare Cristo e Marco, promettendovi corona di beatitudine e di felicitá. E quanto gli effetti de le facende militari saran maggiori, tanto piú vi acquistarete de le grazie predette. Uccidete, ardete, dispergete, tormentate, rubate e rovinate, ché tutto