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CCCLVII

AL SIGNOR PIER ANDREA ROTA

Lo eccita a porre in atto il proposito generoso di recarsi a Costantinopoli e sostituirsi al padre nella schiavitú presso il corsaro Barbarossa. Essendo io chiaro del vostro essere di sorte intertenuto in Ragugia, che non potete trasferirvi in Costantinopoli, me ne dolgo, come me ne rallegrarci se passaste oltra, secondo la credenza e la volontá con cui vi partiste di qui. Certo ch’io aspetava che il mondo intendesse come ci vive anco tanta di bontá, che si trovano figliuoli che nel colmo de la gioventú si movano de le case lontane, andando in Turchia, per riscuotere i padri giá decrepiti con lo scambio de la propria persona. Egli è pure il vero che vi séte tolto di Spagna e fin costi condutto, con animo, quando non si possa altrimenti, di trare colui, che vi generò, del carcere di Barbarossa col pegno di voi stesso : atto conveniente a la generositá spagnuola e ufficio in maniera degno de la natura cavalieresca, che la etá presente è òbligata a fare che un si nuovo essempio si dimostri nei posteri con memoria celeberrima. Benché voi, nel predetto interesso, avete fatto un debito molto piú appartenente a voi che a lui, avenga che i genitori nostri son due volte noi medesimi: una, in quanto a la comunitá de le carni e de Tossa; e l’altra, circa a lo affetto con cui ci amano come ci amiamo noi propri. Benché la lode vostra consiste ne lo essere ottimo in tempi pessimi: onde io non pur ho caro di tenere un tale uomo per amico, ma me ne glorio. Intanto prego Cristo che adempia il fin del voto vostro, secondo che egli captivo e voi libero desiderate.

Di Vinezia, il 15 di giugno 1538.