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l’istoria che mi imponeste; ma non è giá paruto agli uomini che io abbi, non dico i ducento scudi donatimi da la pietá cesarea ne le viscere de la maggior carestia che mai fusse, ma la pidocchiaria de la solita pensione. Ma, se chi nega il suo proprio aiuto al prossimo è degno di succedere ne le calamitá che lo affliggono, che merita colui che toglie al povero la limosina che altri gli fa? Ognun sa che fino a l’avarizia, ne lo orror de lo anno seguito, si è vista sumministrare a la povertá; e a me, in cotal penuria di pane, benché si sapesse la gran somma barratami in Francia e in Inghilterra, è stato intertenuto il premio che io ritrassi da lo imperadore solo per avervi lodato. Ma, se si sopporta il levarmisi i doni guadagnati nel celebrare balte vostre virtú, che mi si farebbe se mi si ordinassero per altre? Egli è pur vero che voi, che per amor de la fama non solo tenete a vile il dare dei gran guiderdoni, ma sprezzate, per accrescetela, i pericoli de la morte, consentite in suo pregiudizio che mi s’indugino le cose che non vi appartengono. Io favello a la sicura, perché io son libero e perché ne lo interesso de la fame, principessa de le miserie, la vergogna pon da canto il rispetto. Ma io sto allegro, perché, tosto che vediate la figura e subito che leggiate la vita de la avvocata vostra, son vendicato; conciosiaché, nel vederla e nel leggerla, commosso da lo artificio di cotale statua e dal sudor de le mie fatiche, sentirete tanta compassione per aver sofferto che io patisca, quanto io ho avuto disagio patendo. Or, se voi séte quello amico del ben fare che vi tiene il mondo, comandate che mi si mandi e la pensione e i ducento scudi ; ché altra vecchia cortesia non chieggo e, circa il libro compostovi, altro nuovo pagamento non voglio. Ma, perché egli è noto, col testimonio de la vostra parola, come la mia modestia non è men grande in chiedervi che si sia la vostra voluntade in darmi, la fornirò con dire che il volume uscirá presto de le stampe e verrassene a dimostrare a la Eccellenza Vostra con quali e con quante vere laudi ho saputo ragionare di Alfonso d’Avolos, di Maria di Aragona e dei figliuoli concessi de la grazia di Cristo ai meriti loro.

Di Vinezia, il 25 di ottobre 1540.