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piangiamo le vite altrui. Noi, figliuolo mio, simigliamo peregrini posti dai voti nei viaggi di molte miglia, i quali, oltre il provare le noie del camino, temono ancora i pericoli che s’incontrano caminando; onde colui, che, per essergli dato il far piú corta via, schifa il salir dei monti, lo scendere de le alpi, il attraversar dei piani, il passar dei boschi, il varcar dei fiumi e lo smarrir de le strade, non altrimenti è felice che quello che, col presto morire, si toglie di mano ai morbi, a le invidie, ai rancori, agli ozi, a le facende e ai peccati. Lasciamo andar questo. Egli non era lecito che i venti anni, che, quasi fuochi de la etade acerba, ardevano col vigore vitale la carne, il sangue e gli spiriti del garzone, che pure mancò, fusson preda de la vecchiezza. Il giglio, còlto mentre risplende nel candore de la innocenzia istessa, vince di pregio quello che si sta languendo ne la cima del proprio stelo. Ma qual grazia poteva chiedere a Dio la generosa memoria, che aggiugnesse a quella, che ha operato, che del suo puro corpo gli esca l’anima con la puritá che eliaci entrò? Or asciugate le lagrime che spargete per lui, lodando sopratutto il Signore, da che la immensa misericordia de la Maestade Sua consente che il dolce fratei vostro abiti seco in paradiso. E beati coloro che conoscono prima il cielo che il mondo!

Di Vinezia, il 19 d’agosto 1540.

DXXXV

A MESSER FRANCESCO SANSOVINO

Non solo non ha contro di lui ragioni di inimicizia, ma, checché faccia o scriva, non può considerarlo se non come figlio di cotanto padre. Al quale lo esorta a voler ubbidire, senza dargli altri dolori. Come può egli essere, o giovane, che io vi sia diventato nimico per colpa del sonetto divulgato per vostro in pregiudicio d’altri, non avendo io dato cura a quel tanto che giá