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la dura memoria dei secoli. È risoluto che il re largo può stare ne le cittá senza mura e ne le camere senza guardie ; peroché, dove non è avarizia, non è invidia e, dove non è invidia, non è odio, né ci essendo odio, non ci è temenza. Mai non intoppa ne le insidie e mai non trabocca nei precipizi chi dispensa le sue ricchezze; e sol colui abonda di tesoro, che riempie d’onore i luoghi dei denari distribuiti. E però l’ottimo Ferdinando, mosso da si laudabile essempio, si sforza che i numeri dei doni propri siano spessi come le gocciole de la pioggia. La Sua Altezza ha talmente sazio con essi il cupido dei desidèri e di maniera ha colmo l’avaro de le menti, che la fede, che gli osservano i sudditi, è immensa, e l’amore, che essi gli portano, ismisurato. Ma sariano piú che iniqui a fare altrimenti, da che la Maestade Vostra sempre gli diede e mai non gli tolse. E, se aviene che non potiate porgere ad altri secondo che solete e che vorreste, la volontá e il pensiero nel bramar ciò stan sempre fermi; e, benché il buon volere non supplisca a la necessitá de le persone, non è che non sodisfacciate con la integritá de la intenzione a la magnanima nobiltá del vostro animo, la cui altezza non manca di servire e di onorare quegli ai quali non può dare oro né argento. Ma il non aver voi come vi converrebbe è colpa de la fortuna ; egli è difetto de la sorte. Ella il causa cd ella il destina solo per esser vòlta agli accrescimenti e a le felicitá del grandissimo fratei vostro, al soprano trono del quale precederebbe la sede di voi, quando fusse che la carestia de le pecunie vi diventasse abondanzia. Niuno uomo si alzò mai tanto quanto vi alzareste voi, caso che poteste essercitare a vostro senno il glorioso inisterio de la cortesia, le cui splendide passioni, per ramentarvi tuttavia le publiche miserie dei virtuosi, vi hanno posto dinanzi agli occhi de la magnificenza ancora me, servo suo; onde con reai gentilezza mi avete scemato la povertá con la somma dei ducento ducati d’oro. Ma piaccia a Dio, da che la gratitudine mi apre la bocca e mi scioglie la lingua in laude de la Vostra sacra Corona, ch’io canti gli onori meritati da Quella con le debite note.

Di Vinezia, il 13 di luglio 1539.