Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/158


Vostra Signoria, che non l’abbia recevuto tutto disteso, mentre fuor di proposito e inspertamente sospirava e gemeva? Il suo avere amato non solo con affetto pudico, ma con mente santa merita d’anteporsi a quanti miraeoi uscir mai de la deitá di Cupido, percioché l’atto è tanto da lodar piú, quanto si usa meno. Insomma Iddio permesse tal cosa, acciò la gentil Paola, che gli infiammò l’anima con le sue divine grazie, glorificasse la sua riguardata onestá. Ma tutto si risolve ne le aure, che ci portano via il suono de le voci; tutto passa come sogno. A me pare che fosse dianzi il vedere il duce d’insolita milizia abbracciato con il cavalierotto, a lui piú che fratello e piú che amico; parmi anco udirgli e vedergli cianciare e scherzare insieme... Parliamo di me. Certo ch’io bagno il viso di lagrime, ramentandomi con quale amorevolezza per le chiese e per le strade mi basciava la sincera, dolce e ottima contessa madrina. Rifarebbe ogni comedia il caso, che me le fece adormentare a lato, trovandola indisposta nel letto. Io, avendo cicalato un pezzo, sedendole presso, vinto dal caldo e dal sonno, posato il capo sul piumaccio, russai fino che il buon contazzo da Casal Po, marito suo, scotendomi forte, gridò: — Spogliati e còlcati giuso ! — Per Dio, che il dottissimo messer Aurelio da la Fossa, raccontandogli ciò non so qual gentildonne, che ci si trovarono, fu per Smascellarne ; come anco fece, quando la detta signora, avendo letta una lettra che io le portai da Milano, voltandosi a me, disse: — Il mio consorte mi scrive che a voi facci tutto quello che farei a lui : si che verrete istanotte a giacer meco. — Ma dove si lascia madonna Marta, la quale, raccontando le pazzie di colui, che, sendo ella fanciulla, cotanto l’adorò, disse: — Perdonatemi, sposo, percioché, se il poverino ci viveva, era sforzata a fargli qualche piacere. — Io veggo il rossore di quel modanese, che lasciò di ballar seco, credendosi che a lui, che le ne dimandò, ella avesse risposte: — Io ho nome la merda, — e non la M<?rta. Ora, uscendo di chiachiere, attendiamo a viver noi, e, spassandoci con le favole de le cose passate, imitisi quel galante uomo, il quale accompagnò il duca di Ferrara in questo paradiso. Egli, vedendosi porre