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dei suoi meriti, si può ben credere che la tristezza ingombri con dolenti occupazioni l’anima e il core di quegli che goderono de le cortesie di lei, come ne ho goduto io. Ed, essendo cosi, qual penna, qual lingua esprimerá la passione del signor don Luigi illustrissimo, la lealtá del quale presenzialmente ha riverita e adorata la mansuetudine e la santimonia di lei? Ma io non cerco di consolare il vostro cordoglio con la eloquenzia del dire ; conciosiaché mi pare atto di piú sapienzia e offizio di piú pietade il trovar in ciò parole di oblivione che detti di memoria, percioché quelle spengono le mestizie dei petti e questi le raccendono. Onde vi ricordo solo che non vogliate mancare di quella viriltá, di che s’armano i begli animi, quando l’aversitá gli fan guerra. Ora, perch’io so che niun sinistro è sufficiente di togliervi da la creanza de la naturai gentilezza, mi rendo sicuro che vi moverete a porgere la presente lettra a la Maestá di Cesare.

Di Vinezia, l’ultimo di maggio 1539.

CDXXXIX

A SUA MAESTÀ [Carlo quinto] Condoglianze per la morte dell’imperatrice Isabella e dell’infante mortole nel parto. La fortezza, ministra de le virtú eroiche e famigliare degli animi invitti, difenda in voi, sacratissimo Cesare, le ragioni de le sue generositá, accioché lo imperadore eccelso si mova ne la perdita de l’alta mogliere e de l’alto figliuolo come si mosse ne lo acquisto del gran pontefice e del gran re. Sappia egli vincer la doglia, da che sa domar le genti; né sostenga, in acquetarsi il core, che la tarditá del tempo facci l’uffizio che si richiede a la sollecitudine de la prudenzia. Non hanno in Cesare a poter piú gli infortuni che le prosperitá. Non debbe Cesare esser men constante che chiaro. Non è lecito a Cesare turbarsi degli ordini dei fati. Io non favello cotali cose per