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LIBRO SECONDO
La creatura nobile e gradita,
avendo il cerchio del mondo trascorso
con l’ali de la sua fama infinita,
ioo se ben di Morte è necessario il morso,
si è transferita a le celesti spere,
perdi’ ebbe intoppo il naturai suo corso.
Del Metauro gemèr le ninfe altère,
nel chiuder di quegli occhi gravi e immoti,
105 giá chiari specchi de le franche schiere.
Gli iddíi del mare suo squamosi e ignoti
a l’urna lo portár sopra il ferètro,
dai cui lati pendean ghirlande e voti.
La pompa funeral, che seguia dietro
no si facea ombra con le insegne invitte,
che gli aggiunse e Giovanni e Marco e Pietro.
E, mentre lo spargean le turbe afflitte
di ghiande d’òr, di corone e di palme
a la Immortalitá nel tempio ascritte:
115 — Posate in pace, ossa felici ed alme, —
dicea chi vide le reliquie sole,
sgravate pur de le vivaci salme.
Ne lo spirar colui che avea le scòle
di Minerva nel petto d’onor cinto
120 (onde ne suspirò la luna e ’l sole),
con supremo stupor, d’amor dipinto,
sculto in materia che lo scritto indora,
nel gran cor se gli lesse «Carlo quinto».
Or quello imperador, che il mondo adora,
125 poscia ch’è’l fedel suo morto e sepolto,
risguardi la Gonzaga Leonora.
Duo fiumi amari le irrigano il volto,
ch’ella, piangendo, del cor preme e svelle,
da che le ha Giove il buon consorte tolto.
130 Torto fareste a le cortesi stelle,
che quasi gemme vi ornan la corona,
de le lor sorti invidiate e belle,