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CDXIII

AL SIGNOR SCIPIO COSTANZO

Ne loda la vivacitá dello stile epistolare, la bontá d’animo e il valore, e ossequia Francesco Donati. Veramente che il desiderio, che voi mostrate circa il ricevere de le mie lettre, devria essere in me, imperoché séte cosi buon maestro di scriverle, che nel leggerle s’impara forse quel che non sanno insegnar le mie. Egli è certo che il gran Guido Rangone recolenda memoria valse assai in dettarle, e anche il conte Lodovico, fratello suo, è di molta eloquenzia in ciò. Ma, cir°a una vivezza di tratti e di spirti, ci avete pochi pari; come anco ne la bontá, che piú stimo che il valore, del quale arde di continuo il generoso petto vostro. Io, per me, non viddi mai giovane piú avido de la reprensione né piú modesto in esseguirla di quel che séte voi. Segno chiaro del senno che vi dee reggere. Non è punto arrogante la vostra reai natura, e i vostri egregi costumi non son niente altieri. Lo intelletto che tenete è sempre intento o a fare o a cercar di sapere. Atto degno di laude, avenga che chi non trova de le cose da sé, o d’altrui non le apprende, è una ombra, che non simiglia né a sé né ad altri. Ma non sareste figliuolo de si gran padre, né nipote di si gran zio, né colonello di si gran re, sendo altrimenti. Onde è ben dritto che il mondo vi abbia in si chiara aspettazione. Ma, se mi amate, come ognun dice e quale io tengo per fermo, mi farete grazia di inchinarvi al clarissimo misèr Francesco Donato, singular gentiluomo, illustre cavalieri e ottimo senatore, in nome de la servitú che io tengo con le gravi, con le eccellenti e con le illustri virtudi sue.

Di Vinezia, il 26 d’agosto 1538.