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CCCXVII

AL VALDAURA

Dedica del secondo dei Ragionamenti Certamente, fratello, se il mio animo, il quale è con voi quasi sempre, non mi vi ramentava, io era a peggior partito che non sono i vizi còlti in uggia da l’odio, che in eterno gli portará quella libertá di natura concessami da le stelle. Perché, sendoio tenuto di molto obligo con una schiera di mezzi iddii, non sapeva a chi mi intitolare la istoria che io vi intitolo. S’io la dedicava al re di Francia, ingiuriava quel dei romani. Offerendola al gran genero di Cesare, mi dimostrava ingrato a la somma bontá di Ferrara. Volgendola a Mantova, ch’averia detto Pottima Eccellenzia del marchese del Vasto? Nel porgerla al buon principe di Salerno, dispiaceva al fedel conte Massimiano Stampa. Se io la indrizzava a don Lope Soria, con qual fronte mi rivolgeva io d’intorno al conte Guido Rangone e al signor Luigi Gonzaga, suo cognato, le cui qualitá onorano tanto l’armi e le lettere quanto l’armi e le lettere onoran loro? Se io la presentava a Loreno, chi mi assicurava de la grazia di Trento? Che sodisfazionc dava io a Claudio Rangone, lampa di gloria, colocandota nel signor Livio Liviano o nel generoso cavalicr da Legge? come trattava io l’ottimo signor Diomede Caraffa e il mio signor Gianbattista Castaldo, a la gentilezza del quale tanto debbo, caso ch’io n’avesse ornato qualcuno altro? Ma l’aparirmi voi ne la mente è stato cagione ch’io vi porgo i presenti Ragionamenti. E ben lo meritano le condizioni, le quali vi fanno risplendere, come ne le loro risplendono i miei benefattori; e, se io vi teneva in fantasia, quando consacrai i tre giorni dei Capricci al bagattino, per avere egli la qualitá dei gran maestri, ch’io odio per grazia de la loro avarizia, uscivano forse in campo a nome vostro, solo per aver voi di quelle parti le quali hanno i grandi uomini, ch’io per lor vertú adoro.