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I

Stella, ch’infondi i piú maligni guai, d’ogni mio lume inecclissata sfera, da che per tuo volere inatizi sera, lasciando il giorno, in ceca notte entrai; segua pur il destin, né veggia mai l’alba apparir di quella fronte altèra, né a le tenebre lunghe, anzi eh’ io péra, spuntar degli occhi i luminosi rai. Tórmi giá non si pò ch’un risplendente raggio non faccia almen le voglie liete nel bel sentier de l’invaghita mente, salvo se morte, di cui tanta sete m’accresce al cor l’alto pensier fervente, non mi sommerge nel desio di Lete. 2 Con due urne di pianto il gran Sebeto parmi incontro venir, pien di dolore, spento nel mesto volto il bel colore, di cui meco lo vidi un tempo lieto. E, del sacro odorifero laureto deposto il vago e trionfale onore, cinta di spine una ghirlanda al core, par che mi dica in suon doglioso e queto: — Misero Endimion, quell’alma Luna, che fe’ l’inferno tuo di lume adorno, sott’altro cielo le sue stelle aduna. Però, fin che si mostri il suo ritorno, sol per vegghiare in vita acerba e bruna ti sia la notte un sempiterno giorno. —