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biscantato da lui al suono del voltante spedone. II compare arostiva una fenice al fuoco de l’incenso e de l’aloè, chel’abrusciano. Certo ch’io non mi feci invitare a tóme un boccone. E, nel considerar col giudizio del palato la soavitá, la sustanzia e il sapor suo. simigliava il mio bagattino, bevendo il giulebbe; onde la sua dolcezza gli allargava le braccia e lo distendeva lá, come si distende un prete quando il pivo lo gratta. In questo, sento Apollo, che mi dice: — Mangia, acioché quelle carogne quivi, le quali han pasciute tuttavia le mie sorelle di cavoli, d’erbe e d’insalata, abbin piú fame. — Io, che non gli poteva dir altro, bontá d’una tazza del vin di Dio, ch’io asciugava, lo ringraziai col capo. Ma, nel mutar luogo, urto in una prigione calcata di gente peggio in arnese che i cortigiani d’oggidi ; e, intendendo che avevano rubato ad ogni ora perle, oro, rubini, ostro, zaffiri, ambre e coralli, dissi: — Costoro son molto mal vestiti, avendo fatto si gran furti. — Viddi anco certi altri, che, nel ristituir l’altrui, se n’andarono con le carte bianche, come venner da Fabriano. La conclusione del sonno fu ch’io mi trovai in un mercato, pareva a me, dove gli stornelli, le gazzuole, i corbi e i pappagalli imitavano Foche de la vigilia d’Ognisanti. Agli uccelli ch’io dico erano pedagoghi alcuni togati, barbati e disperati, non per altro che per avere a insegnargli a favellar per punti di luna. Oh che spasso che avereste preso d’una ghiandaia, che specificava «unquanco», «uopo», «scaltro», «snello», «sovente», «quinci e quindi» e «restio»! Avreste smascellato, gustando Apollo, che, tutto avampato da la còlerá, avea fatto alzare a cavallo un goffo, che non potè mai far dire a un lusignuolo «gnaffe!»; onde gli ruppe il fondo de la celerá in sul forame, e la Fama i manichi de le trombe. Io so che intendete la cagione de la lor penitenzia. Perciò non acadc a dirvi se non che in capo de le fini mi fu recata inanzi una cesta di corone per laurearmi. Onde dissi loro: — S’io avessi la testa di alifante, non mi bastaria il core a portarle. — Come no? — mi dice l’amico. — Questa di ruta ti si dona per gli acuti dialoghi puttaneschi; questa d’ortica per i pungenti sonetti preteschi; questa di mille divise per le