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de 1* immortalitá? — Bene — rispose egli, — da che posso, grazia di Dio, trar due coregge in Parnaso al par d’ogni altro; — detto che daria che dire a Cino da Pistoia, nonché a Dante. E perciò mostrate il sonetto a lo illustrissimo signor conte Guido, la cui Eccellenza si degni di far provedergli le catene, ché certo egli non istá bene sciolto.

Di Venezia, il 5 di decernbre 1537. Malatesta, io stupisco che gli allori non faccia le pazzie per coronarvi, e come non si sbraghi no a sacrarvi i ferri vecchi lor tutti gli Amori. Un milion di torti hanno i cantori, non cominciando il nome a frastagliarvi, ché Apollo non è degno di scalzarvi, né di forbirvi il cui inertan gli onori. Per Dio! che meco imaginar non posso come caviate versi cosi bravi dal vostro capo oltra dei grossi grosso. Messer cuoco e ’l Nanin vi sono schiavi, e vi vogliono un di pisciare adosso, perché il mortai di voi le man si lavi.

CCLXXVI

A MONSIGNOR BIAGIO IULEO

Gli invia un sonetto in burla dei suoi versi. Io, ser pecora, mi arcicongratulo che siate publicato capellano de le muse. Ma avertile al fatto de la coda, perché ser Apollo è un mal bigatto, e, quando la gelosia gli monta, averá per manco di darvene cento in sul culo con l’archetto de la lira, che di sputare in terra. Perciò fatevi castrare, ch’io ve ne suplico: cosi ser Febo, volto di puina, vi dará l’ofTerta la Pasqua e il Natale, e forse forse tutte le stregghie fruste e tutti I ferri