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per simil via, non altrimenti che gli lusse rubata la vita, si sfogano con le maladizioni sopra la Signoria Vostra di modo, che, se non fosser gli amici che vi difendono da la lor rabbia, come ho fatto io, stareste peggio che quegli, che, mentre riscontrano i voti, si disperano, perché il lor nome non si trasforma negli aventurati.

Di Venezia, il 3 di decembre 1537.

CCLXX

A MESSER FORTUNIO

Invia un sonetto in lode di Angela Serena. Eccovi il sonetto, ch’io ho tolto di mano a l’ozio, il quale è di poco spirito, se ben l’ho composto con assai affezzione. I lor versi lodano la nostra comare, ancora che ai suoi parenti paia che ogni onore fattole da la castitá de la mia intenzione le sia vergogna. E ben mi sta, poiché, senza altrimenti pensarci, mi rivolsi a lei <*). Una sol cosa m’acqueta: l’allegrezza presa per ciò di messer Gianantonio, marito suo. Per altro io me ne pento: e, se non fusse ch’io non vo’ bandire il mio poco discorso, rivolgerei le sessanta stanze a persone d’altro giudizio, se non di piú merito.

Di Venezia, il 3 di decembre 1537. Questa del ciel sirena ha nei bei crini i raggi, ch’i capei fan biondi al sole: negli occhi ha il foco, di cui arder sòie il puro zelo a li spirti divini. Ha ne le guance i vivi color fini, ch’accendono le rose e le viole; ha l’angelico suon ne le parole, che parton fra le perle e fra i rubini. (1) M *, invece, continua cosi: «che è moglie di C.iannantonio Serena, salvo l’otior vostro, ché cosi si debbe dire quando si mentova un tristo in presenza d’un buono».