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CCXLIII

AL MAGNIFICO MESSER GIOVANNI BOLANI

Di messer Pietro Piccardo, vecchione arzillo e galante e vero magazzino di aneddoti storici. lo intendo, signore, che messer Pietro Piccardo si sta in Padova con tanti pochi pensieri, che ne disgrazia il fiorir de la gioventú d’un fottivento. Gran cosa che la soprasoma degli anni non gli dia un fastidio al mondo ! E pur Fabrizio da Parma e il papa, che sono i piú vecchi cortigiani di Roma, giurano d’averlo conosciuto con due dita di barba. Né per questo si distoglie da giornear d’amore, anzi da sospirarne. Io ebbi a smascellar, per l’Assensa, vedendolo con una caterva di donne dentro una bottega. Egli sfoderava a ogni proposito tanti «Bascio la mano» e tante «Vostre Signorie», che la Spagna n’averia perduto. Degli inchini e dei motti non parlo, per non esser possibile a trovar parole tanto insalate, che potessero esprimere ciò. Egli gli porgeva inanzi alcuni aneluzzi smaltati, alcuni cestelletti di filo d’ariento e altre collane e bagattelle, con certi suoi ghigni e con certe sue cerimonie molto solenni. E, doppo il mostrar de le reliquie moderne, fece pala di non so che sua corgnuola antica; onde monsignor Lippomano gli disse: — Mettete la gioia ne la guaina, che la piú bella anticaglia, che si vegga, séte voi, domine. — Certo che nostro signore doveria di marmo o di bronzo intitolarlo sopra la porta di tutti i tinelli, con una Bibbia ai piedi, che publicasse i pontefici e i cardinali conosciuti da lui. Io sto i giorni interi a sentirlo ragionare in che modo San Giorgio vinse sessantamillia ducati al signor Franeeschetto, fratei d’Innocenzio, e come di tal vincita si faticasse il palazzo in Campo di fiore, venendo poi ai fiaschi con cui il Valentino avelenò sé e suo padre, credendo accoccarla ai reverendissimi. Sa la guanciata, che dede Iulio in sul ponte ad Alessandro in minoribus. Si trovò a la furia che lo