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con morsi soavi c dolci: peroché in cotale impaccio speri ciocché tu brami e godi di quel che consegui, non prendendo men piacere de la gioia futura che del gioco presente, rallegrandoti con la memoria fin del diletto passato. Se io, per via di qualche negromanzia, potessi scaricarmi del peso d’otto o dieci anni, trionfarci de la saviezza del mio costume, che, mutando di mese in mese amorose, simiglia un cortigiano scarso e astuto, che, per iscambiare ogni quindici di famiglio, si trova ben servito e non paga salaro. Ma egli è il diavolo a far le mutazioni ch’io dico ne la vecchiaia, la quale ha buono animo e triste gambe. Ed è un peccato che la poverina non possa mai serrar occhio né a mezzanotte né a l’alba, sofferendo le passioni e le gelosie giovenilmente, sempre affisando i pensieri, che doverebbe voltare a la morte che l’ha per i capegli, a quella diva che si fa beffe de le sue sollecitudini e de le sue cure. Certo, si becca il cervello chi crede che i doni e l’opre, che se gli fanno in laude, giovino ai vecchi. L’offese e i vitupèri, con cui gli sbarbati l’oltraggiano e infamano, sono piú grate a le madonne che quanta fama e quanta gloria le potria mai dare colui che trovò la gloria e la fama. E io lo so, che, per aver rasserenato il cielo col nome di colei da me amata con santissima e con castissima affezzione, ne ho avuto in premio la sua disgrazia. E con questa me vi raccomando.

Di Venezia, il 21 di ottobre 1537. CCXI 1 AL MAGNIFICO OTTAVIANO DEI MEDICI E grato anche a lui dei cinquanta scudi donatigli da Cosimo dei Medici, e allude alla dedica al duca d’Urbino del primo libro delle Lettere , che invierá a Firenze non appena finito di stampare. Per non uscire, signor, messer Francesco Lioni de la commessione vostra larga né del costume suo gentile, tosto che ne ebbe l’aviso, mi annovarò i cinquanta scudi, che, ne la necessitá dei termini nei quali si trova, mi dona il signore. Io non