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si fa conoscer da Dio, e olii da Dio è conosciuto piglia de le sue qualitá; onde mette in opera la benignitá de la clemenza che io dico, senza la quale la fama si rimane spennata e la gloria spenta. E, per esser ella la corona del trionfo di chi trionfa, la cagion del suo perdonare è di piú degnitade che la vertú del suo vincere, e la vittoria si può chiamar perdita, non essendo accompagnata da lei. Ma, se questa clemenza, ombra.de le braccia di Dio, è tutta piovuta ne la vostra mente, chi dubita che il pastor de la Chiesa non sia libero di dove è stato posto, non da la ragione, che ha usata seco la licenza de la guerra, ma dal cielo, il quale ha spirato sopra il capo de la corte un vento di aversitá, permettendo ciocché Roma ha sofferto? Ma, perché la giustizia de la vostra misericordia non paia crudeltade, piaccia or a voi che la rovina non proceda piú oltre. Ecco in vostro arbitrio la pietá e il papa: ritengasi lei e lascisi lui, donando al favor, concesso da Cristo a la vincita vostra, il vicario suo, non consentendo che la letizia de la vittoria impedisca l’ufficio del vostro divin costume; ché certissimamente, fra tutte le corone che avete acquistate, e in quelle che Dio e la sorte debbono al rimanente de la vostra illustre vita, non si vedrá mai atto di piú degna ammirazione. Ma che non puote la speranza ne la ottima, religiosa e cortese Maestá di Carlo quinto, cesare sempre augusto?

Di Venezia, il 20 di maggio 1527.

VII

A CLEMENTE SETTIMO

I-o esorta a perdonare a Carlo V. Se ben la fortuna, signor nostro, signoreggia in modo gli stati degli uomini, che niuna lor providenza le contrasta, dove pon le mani Iddio le sue giuridizioni si anullano. Perciò chi cade, come Vostra Santitá, rivolgasi a Giesú con i preghi, e non a la sorte con le querele. Era di necessitá che il vicario di Cristo, col