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si è degnata di cercare la sciocca lettra, che, non senza mia vergogna, desidera il Varchi, del qual mi lodo piú che non me ne doverei dolere, poich’io per tal cagione son conosciuto da uomo cotanto degno e da voi, cosi gentile. Ma volesse Iddio che in si onorato modo si perdessero, non solo ismarrissero, tutto l’avanzo de le mie ciance; ché, oltrach’io viverei col morir dei lor fernetichi, da un altretanto favellare, che voi ed egli di me faceste per ciò, sarei non solo raccomandato a l’immortalitá, ma fatto immortale. Ma, come si sia, la Signoria Sua e la Magnificenzia Vostra del poco rispetto, che per riavere si vii cosa si è avuto a le dignitá de l’uno e de l’altro, incolpi messer Benedetto, il qual perde il giudizio, nel parergli eh’ io vaglia quel ch’io non vaglio, e, per dare la giunta a la derrata de l’errore, credendosi compiacermi, con dispiacer mio dá briga a la pace del chiarissimo messer Piero. E pur sa che mi par meritar la voce di vertuoso, poich’io ho tanto senno che so riverirlo, come anco so amar voi, che avete l’arbore de l’ingegno tutta coperta dei fiori, che producono i frutti, che matura il sol de la gloria.

Di Venezia, il 12 di settembre 1537.

CLXXXVIII

AL VARCHI

Gli manda copia della lettera scrittagli dall’Alamanni con la risposta, e lo prega di consegnare al Martelli la lettera precedente e di salutare il Bembo. Io, fratello, impongo a voi, che séte nei servigi degli amici la cortesia istessa, due cose: l’una, di mettere a piè de la copia di quel che mi scrive il signor Luigi Alamanni la semplice risposta ch’io gli faccio; l’altra, di mandare a messer Ugolin Martelli, giovane di gloriosa aspettazione, la lettra ch’io gli scrivo per amor di quella che egli m’ha scritta e voi perduta. E mi potria forse venir voglia di farvi sentire come io so adirarmi con la vostra trascuratezza, se apresso di lui le parole