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non, io vi ringrazio de la grazia che mi si fa ne la grata spedizione, e registrarò al libro, dove io noto i debiti ch’io ho con altri, questo nuovo, ch’io ho fatto con voi. Or non v’incresca di basciar la mano al reverendissimo Caracciolo in mio cambio, e al mio signor Giambattista Castaldo medesimamente, dandogli novella de la collana di piú di tre libbre d’oro, che m’ha posta al collo don Lope Soria in nome de l’imperadrice, con isperanza di maggior cosa.

Di Venezia, il 25 di luglio 1537.

CLXXI

A MESSER GIAMBATTISTA CAPORALI

pittore e architetto. Leggerá la sua traduzione di Vitruvio. Ricorda gli anni giovanili passati insieme. Ora non è mutato d’umore, ma è ingrassato. Invita l’amico a Venezia, o almeno a scrivere spesso. L’uomo, fratello, a cui deste il libro e la lettra, m’ha fedelmente consegnato quello e questa; e, perché l’uno e l’altra mi è suto caro presente, di tutte due le cose vi ringrazio. E voglio, ora che si avicinano i giorni piú brevi e le notti piú lunghe, che il vostro Vitruvio sia la mia lezzione, e quanto ne leggerò tanto mi starò con voi. E cosi sentirò rinovarsi nel mio core la memoria dei ragionamenti che solevamo fare, vivendo giá Friano, dolcissimo nostro trastullo, nel petto del quale Amore sempre teneva sculpito qualche nuovo ganimede; onde si riduceva a cantare le sue passioni in egloghe, rinegando la fede, quando, ne l’udire i suoi versi, non si esclamava con gesti stupidi. Or io voglio che mi crediate ch’io sono quel buon compagno ch’io era a quei tempi, e mi è cresciuta l’allegra amorevolezza nel crescer de la reputazione e de la commoditá; e il carco degli anni mi parebbe leggieri, se io non fusse grasso: cosa che mai non avrei creduto che pensasse la natura de la complession mia. Molti, de l’essere io venuto in carne, danno la colpa a le felicitá, in che Iddio ha posto la vertú, piovuta in