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CI.XV 1 A MESSER AGOSTINO RICCHI Preferisce l’inverno all’estate. Se la scienza e la dottrina fusse piú cara che la vita, io, figliuolo, vi esortarci a le fatiche usate; ma, essendo di maggior costo il vivere, vi prego che veniate qui da noi, dove, senza tempestar la memoria ne le diavolarie d’Aristotile (•), studiarete di star sano finché dura la rabbia del caldo, il qual si porta con la pazienza de le persone molto fastidiosamente. Io, per me, godo piú del vedere scender la neve dal cielo che del sentir ferirmi da le aure soavi. Certo che il verno mi pare uno abbate, che galleggia a sommo nel commodo degli agi, a cui fa prò il mangiare, il dormire e il far quella cosa troppo saporitamente. La state poi è simile a una meretrice ricca e nobile, che svogliata si gitta lá, spruzzata di lezzo, non facendo altro che bere e ribere. E i vini freschi e le stanze ornate, con quanti artifici di vento e di guazzetti si può imaginare il giugno e il luglio, non vagliono un boccone di quel pane unto, che si mangia intorno al fuoco il dicembre e il genaio, tracannando alcune tazze piene di mosto, mentre nel volgersi de lo arosto si spicca un pochette di carbonata, senza dar cura de la bocca e de le dita, che nel rubarlo si cuocono. La notte poi entri dove per te ha militato lo scaldaletto, onde abracci la compagnia tua, overo, raccolto in te stesso, tutto sotto ai panni, ti conforti nel temperamento del caldo; e il piovere, il tonare e il furiare de la tramontana ti aiuta a non destarti fino al di. Ma chi può patire i bestiali intertenimenti de le pulci, de le cimice, de le zanzare e de le mosche, molestissima giunta a le altre noie de la state? La qual ti pone sopra i Icnzuoli ignudo nato, e il farti far vento è un mettere nei salti de le (i) Segno qui Af a . M’ ha «diavolarie dei libri».