Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/207

CLXV

AL SIGNOR SCIPIONE CONSTANZO

Complimenti. Ella è pur troppa, giovane umano, la cortesia che la nobiltá vostra mi usa, e tutta nasce da la grande affezzione che per naturai gentilezza mi portate, la quale, non vi lasciando conoscere il vero, è cagione ch’io vi paia di quel merito che non sono. Perciò le visite, che mi avete fatte, e le lettre mandatemi vadino a conto di voi, che séte benigno, e non de le poche vertú mie. E, caso che vogliate amarmi come fate, amatemi, perché il costume vostro è tale, e perché io v’ho raccolto nel core apresso i piú dolci e i piú cari amici ch’io abbia. Ma chi debb’io tenerci, non ci tenendo il nipote del magnifico messer Francesco Donato, uno dei piú illustri senatori del mondo, il cui intelletto è l’anima de le publiche aministrazioni? e perciò il comun grido gli annunzia il grado, del quale egli, dignissimo, è degno. E Dio volesse che l’ingegno mio fusse atto a dir di lui, ché entrarci a laudare gli ordini de le sue eccellenti azzioni come io desidero e come si conviene: onde voi, figliuolo de la sua sorella, potreste con qualche ragione riverirmi, ché ora certamente non si comprende cosa in me, di maniera che doviate farlo. E ben mi aveggio che la vostra nobiltade vi move a ciò, e, da lei riconoscendolo, a lei ne rendo grazie. E, quando a l’umanitá vostra e a la ventura mia piacerá che mi comandiate, quella prontezza di buona volontá, ch’io in voi trovo, in me trovarete. Ma, non vi degnando a chiedermi servigio, non so come io possa rendervi il cambio de l’amorevole affetto, che provoca la Signoria Vostra a dimostrarmi l’animo di Quella.

Di Veneria, il 9 di luglio 1537.