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darvi scrivendovi, venga egli o non venga. Ancora che la moralitá dei filosofi lavi del continuo la vita con l’acqua de la vertú, sempre appaiono ne le membra le macchie stampateci dal vizio; e i panni apestati, che si serrano ne le casse, serbano tuttavia il morbo di chi gli portò. Ed è il diavolo l’aver pur tócco cotal abito maladetto. Non nego che non siate buono; ma saresti perfetto, se la domestica famigliaritá di Leone non vel metteva indosso. Certamente potreste far peggior male che di non mantenermi la parola, dando la colpa a lo «io fui prete *; ché vi si arnettarebbe la scusa, percioché la lor veritá è la bugia, la lor fede l’inganno e la loro amicizia l’odio. E beato voi, che vi schiericaste a tempo! E, se la nobiltá del sangue e la magnanimitá de la natura fusse meno in voi, guai a la Signoria Vostra! benché il legnaggio di Collalto, e per antiquitá e per vertú, è tale che potria far ottima peggior generazione che quella ch’io dico, se peggior si trovasse. Ma, recando ogni mio detto in gioco, io con questa vi saluto.

Di Venezia, il 6 di aprile 1537.

CXIII

AL SIGNOR GONZALO PERES

Lo prega di consegnare all’imperatrice Isabella le Stanze per la Serena; gode del perdono concesso da Carlo V al Davila; e sarebbe lieto di ottenere una riga dall’imperatrice. Come gli impiastri de l’amicizia, monsignor nobile, giovino a tutti i mali, ne faccio fede io, col non aver mai sentite le passioni de la povertá, da che don Lope e voi consentiste per propria gentilezza ch’io vi diventassi quel che vi sono. E le speranze, in cui mi hanno posto i caldi uffici fatti per me in cotesta corte, mi pascono largamente. È ben vero ch’io reprendo me stesso, poiché la mia poca vertu, che altro non brama che pagarvi la cortesia, non pur tarda a farlo, ma nel tardare tenta sempre di far maggior debili con quella. E perciò mando a