colei che è dea per il lamento degli uomini. Io mi credo che
la Fortuna, che si acorge che gli altri perdono vincendo e che
voi vincete perdendo, tenga a vile di trionfare di voi, che
trionfate di lei, perché la necessitá che la guida, volendovi profondar
ne l’abisso, v’ha sollevato al cielo. E ciò si comprende
nel vostro sopportarla, onde imparate e a guardarvene e a conoscere che le sue contrarietá sono le lucerne de la vita di
colui che non si perde seco. Ecco: la vittoria non fa beato
Cesare, come pare, perché tale apparenza, per non ci essere
un certo fine, è l’ombra d’una imagine di felicitade; e non sol
egli, ma le stelle e la vertú, da cui deriva cotal bene, non son
felici, per soprastargli il voler di Dio. Onde vi prepongo, non
pur aguaglio, a ciascun vittorioso, poiché abbattete con la prudenza colei che vi ha abbattuto con la forza. Gran fatto che
Augusto, del qual sète ne la potestá, non abbia se non una
via da dimostrarvisi generoso, avendone voi tante da dimostrarvi
magnanimo a lui! Parlo de la clemenza, che, se ne manca, si
riman sogiogato dal vostro saper sofferire che egli non sia
clemente, prevalendovi de la pazienza, con la qual si supera
il vincitore, perché fra tutte le vertú è la piú vera, e niuna cosa
può esser trovata piú degna ne l’uomo. Ma, ornandosene un
re come voi, per esser ella invenzione degli dèi, non se gli pò
dire «iddio»? Piú laude meritano coloro che sanno sofferir le
miserie, che quegli che si temprano ne le contentezze. E un
cor alto deve tollerar le calamitá e non fuggirle, perché nel
tollerarle appare la grandezza de l’animo e nel fuggirle la viltá
del core. Ma dove si udi mai che un tanto re ne la súbita occorrenza de la giornata facesse da se solo tutto quello che dovevano fare i capitani, i cavalieri e i pedoni? Il titolo vostro fu
commesso da la vostra deliberazione a l’insegne e a le sopraveste reali, e ivi si rimase ogni sua degnitá, quando voi con la
spada calda del sangue inimico faceste confessare a la Fortuna
che è preso chi combatte e non chi fa combattere, affermando
che le cose umane non si governano senza ragione, ma per collegazioni e nodi di cagioni secretissime a noi, destinate, inanzi
agli accidenti loro, con legge immutabile. Benché le vittorie son