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4 libro primo

colei che è dea per il lamento degli uomini. Io mi credo che la Fortuna, che si acorge che gli altri perdono vincendo e che voi vincete perdendo, tenga a vile di trionfare di voi, che trionfate di lei, perché la necessitá che la guida, volendovi profondar ne l’abisso, v’ha sollevato al cielo. E ciò si comprende nel vostro sopportarla, onde imparate e a guardarvene e a conoscere che le sue contrarietá sono le lucerne de la vita di colui che non si perde seco. Ecco: la vittoria non fa beato Cesare, come pare, perché tale apparenza, per non ci essere un certo fine, è l’ombra d’una imagine di felicitade; e non sol egli, ma le stelle e la vertú, da cui deriva cotal bene, non son felici, per soprastargli il voler di Dio. Onde vi prepongo, non pur aguaglio, a ciascun vittorioso, poiché abbattete con la prudenza colei che vi ha abbattuto con la forza. Gran fatto che Augusto, del qual sète ne la potestá, non abbia se non una via da dimostrarvisi generoso, avendone voi tante da dimostrarvi magnanimo a lui! Parlo de la clemenza, che, se ne manca, si riman sogiogato dal vostro saper sofferire che egli non sia clemente, prevalendovi de la pazienza, con la qual si supera il vincitore, perché fra tutte le vertú è la piú vera, e niuna cosa può esser trovata piú degna ne l’uomo. Ma, ornandosene un re come voi, per esser ella invenzione degli dèi, non se gli pò dire «iddio»? Piú laude meritano coloro che sanno sofferir le miserie, che quegli che si temprano ne le contentezze. E un cor alto deve tollerar le calamitá e non fuggirle, perché nel tollerarle appare la grandezza de l’animo e nel fuggirle la viltá del core. Ma dove si udi mai che un tanto re ne la súbita occorrenza de la giornata facesse da se solo tutto quello che dovevano fare i capitani, i cavalieri e i pedoni? Il titolo vostro fu commesso da la vostra deliberazione a l’insegne e a le sopraveste reali, e ivi si rimase ogni sua degnitá, quando voi con la spada calda del sangue inimico faceste confessare a la Fortuna che è preso chi combatte e non chi fa combattere, affermando che le cose umane non si governano senza ragione, ma per collegazioni e nodi di cagioni secretissime a noi, destinate, inanzi agli accidenti loro, con legge immutabile. Benché le vittorie son