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tuttavia per i capegli? Ma de la origine sua ciancino i Pistoni e gli Aristoteli come gli pare; ché la scienza de la mia ignoranza tien per fermo che la sorte sia un umor de le stelle unito con i capricci dei cieli, e parmi che il meschin mondo sia il pallone de le bagattelle loro, e perciò ad ogni ora balzano in suso e in giuso chi gli è suggetto. Confesso che ci intervengano piú mali per colpa nostra che per cagion sua, e son certo che Sua Eccellenza se ne sarebbe potuto guardare; e non lo fece, per non aver saputo sostenerla. Fu troppo fuor di mesura la fidanza, che prese di se stesso, ne la conclusione del gran parentado e ne l’ottener de la gran moglie. Ma donde nasce che la umanitá, di cui siam composti, consenta che si lodi un percussor del suo principe? È possibile che le parole di Cicerone sien preposte agli essempi di Dio, il quale sempre permise che tali imitassero il fin di Bruto e di Cassio? Oh! se si potesser veder gli animi come si veggon l’opere, quanti giudici mutarebber sentenza, chiamando «infamia» quella che a qualcheun par gloria; peroché l’ambizione e il pessimo ardire de l’invidia imbratta il ferro de la generositá de l’altrui sangue, e quegli son piú audaci in si fatte prove, che piú apetiscon gli stati. Ma, perché altri non si vergogni ad esseguire i consigli ambiziosi e invidiosi, la viltade ha dato il nome di «glorioso» al vituperio. Leggete pure, e vedrete con che bei proemi Cicerone essaltava Cesare, tosto che lo vidde al sommo de la grandezza. Io so ch’egli seppe convertir l’eloquenza in adulazione; e i discorsi, che giá fece, de la tirannide erano lacciuoli, che, aspirandoci, egli tendeva sopra il capo di coloro che gli troncar la testa per ciò. Non si nega che chi dominando diventa Tiberio o Caligula, non isculpisca la statua a colui che ’l manda sotterra. Ma a chi regge i popoli con giustizia inaudita si doveria crescere i di con i suoi giorni. Dicamisi s’è cosa abominevole l’amore in un giovane come Alessandro, e ciocché faria il piú vii servo, se i suoi desidèri potessero liberamente contentarsi. Io favello per grado del vero e non per odio ch’io porti a chi m’ha tolto il benefattor mio. Certo è che quello, che non si vergogna d’accettare i benefici da un simile, non debbe