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darle, e non col prometterle. Io, nel ricever il presente, divenni tutto rosso per la vergogna che ebbi de la mia villania, vinta da la vostra gentilezza. Ed è certo che non fu mai cosa in me che meritasse d’esser desiderata da cotanta duchessa; ma la benignitá di Lionora, che supplisce agli altrui difTetti, per darmi degniti, accennava ch’io andasse lá dove ella era. E non vi ho ubidito, perché non mi pare essere degno di comparire inanzi a una donna si perfetta. È ben vero che ho sempre la sua laude ne la bocca, come averò quel che mi avete donato nel core.

Di Venezia, il 27 di genaio 1537.

XCIV

AL SIGNOR ERCOLE DUCA DI FERRARA

Non lo ha ossequiato in Venezia, perché credette che ciò al duca non riuscisse comodo; ma il dono di cento ducati d’oro, di cui ringrazia, lo Ita fatto ricredere. L’Altezza Vostra, signore, che avanza ogni altro principe d’intelletto e d’umanitá, si degni scusarmi con esso seco per conto del mio non esser venuto a farle nel suo palazzo riverenza; perché non la superbia, non l’ingratitudine, non l’ignoranza l’ha causato, ma una pura modestia e un conoscimento de la bassezza mia, la quale, mentre foste qui, sempre attese a raffreddarmi il caldo del fervore, che moveva gli oblighi ch’io vi tengo e l’affezzion che io vi porto a corrervi ai piedi. E averei ad ogni modo, cosi senza merito come io sono, rotto il freno del rispetto, se non mi avesse ritenuto e la folta de l’occupazioni, in cui tuttavia eravate, e il non essere mai comparso uomo ad introducermi al conspetto vostro. Messer Nicolò Buonleo e messer Agostin da Mosto faranno fede con quanta sommessione gli pregai che, apostato il tempo commodo a farmivi basciar la mano, me lo facessero intendere; e, non l’avendo fatto, teneva per fermo che non vi fusse cara la mia vcrtú. Ma i cento ducati d’oro, portatimi da l’iiubasciadorc che