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LXXIX

AL SIGNOR DON LUIGI DA LEVA

Celebra Antonio da Levva, morto sotto Marsiglia. Poiché il gran padre vostro ha saputo si ben vivere e si ben morire, fugga da voi il soverchio de la passione, che suol tirare su le spalle del core la tenerezza de la carne. E, perché il suo fine ha dato luogo al vostro principio, cominciate a essercitare nel campo dei suoi meriti i pensieri essercitati da lui nel conseguir de la fama, con le cui ali ha volato in ogni tempo e in mezzo e intorno a tutto il cerchio del inondo; e nel trasferirsi in Francia, essendo necessaria la morte, ha voluto morire nel colmo de la gloria, per esser cosa beata. Benché Iddio molti anni prima Tavea tolto dal collegio degli uomini, ma consenti che il suo mirabile spirito gli albergasse ne le membra, perché egli, abandonando il sacro del corpo ne la presenza de lo altissimo impcradore, desse compitamente l’ultimo grado di felicitá a le sue smisurate vertú, le invitte mani de le quali hanno intessute le corone di lauro a tutte le vittorie di Cesare. Ma qual vita fu mai piú cara de la morte del magno Antonio, essendosi spenta e nel conspetto d’Augusto e nel grembo del piú famoso e del piú glorioso essercito, che abbia visto il sole, dei nostri tempi? e, se nulla mancava, le sue lodi, i suoi onori, la sua fama e la sua gloria ha tratte le lagrime dagli occhi de la gran Maestá di Carlo. E Tossa sue, circondate da Tarme amiche, sdegnando l’inimico terreno, con terribile pompa, quasi in proprio trionfo, son rimaste in Italia, per reliquia vera de l’ardente milizia, anzi per miracolo di quegli animi generosi, che andranno raccogliendo con la sanitá de la mente come sia stato possibile che, nel perdere de le forze naturali, il consiglio suo abbia potuto vincere tante guerre invincibili. Certamente i secoli futuri aranno di che stupire, udendo contar da le istorie come lo reveri e temè ogni reverito e tremendo principe. E non so se Alessandro, togliendosi da la bassezza che si tolse egli,