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aver fatto il re penitente, a cui la continua memoria del peccato rinnovava sempre il dolore di averlo commesso e la risoluzione di astenersene in avvenire. Onde esorta i suoi uditori a fare altrettanto; e dice loro: adesso non vi parlo nè di confessione pubblica, nè di confessione segreta; vi parlo di un’altra cosa, vi parlo dei molti beni che produce la memoria dei peccati. E quindi termina il suo discorso così, traducendo le sue parole alla lettera: «Queste cose siano scolpite negli animi nostri. So che troppo è grave all’anima tanto acerba memoria; ma sforziamola e, se occorre, usiamole violenza». E da ciò si vede, quanto fuor di proposito sia stato addotto il passo in discorso, e si raccomandi ai preti che vogliono intendere. La raccomandazione di intendere è più giusto che sia fatta a chi, lasciati indietro tutti i luoghi dove il Grisostomo dice netto e tondo che bisogna confessarsi al sacerdote, ne tira fuori di quelli che non hanno nessuna relazione con questo argomento.

Dopo quelli del Grisostomo viene un passo di S. Ilario.

S. Ilario dice: «Non bisogna confessarsi a nessun altro che a Dio» (Ila. p. s. L. I). — La indicazione va corretta così: Hila. in ps. LI.

Ama il lettore di avere sotto gli occhi intero tutto il passo di S. Ilario, da cui sono state strappate, traducendole male, e quindi cambiandone il senso, le parole surriferite? È l’interpretazione del versetto quinto del salmo 6 «E nell’inferno chi mai ti confesserà». Ed è questo, traducendolo alla lettera1: «Ed aggiunse il motivo della confessione dicendo: perchè hai fatto: avere cioè confessato il Signore, perchè autore di questo universo, insegnando non dover l’uomo confessare nessun altro se non quello che ha fatto l’uliva fruttifera ecc.». Cosa vuol dire qui, come altrove nei salmi, la parola confessare? Certo, come dice


  1. pag. 322 del tomo XI della recente Raccolta dei padri latini stampata a Parigi dal Migne. Chi volesse vederla, c’è nella biblioteca del nostro seminario.