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regola rigorosa di penitenza, per togliere forza all’accusa di rilassatezza, che le era fatta dai Novaziani1.

Ed è tanto falso che i penitenzieri siano stati introdotti a cagione delle «sette religiose che facevano proseliti per loro conto», come dice il signor E. P., che gli storici da lui citati Socrate e Sozomeno (degli altri non parlo perchè non ho avuto tempo di leggerli), in quel passo della loro storia che narra il fatto, a cui alludono le parole dell’articolo, che riportiamo sotto, dicono espressamente, che l’uso del penitenziere c’era anche presso le diverse sette, e che, abolitone l’uso a Costantinopoli, come raccontano, da Nettario, continuò ad essere mantenuto dalle sette medesime. Socrate (nel luogo sopra indicato) dice: «In quel tempo (dopo la persecuzione di Decio) i vescovi aggiunsero all’albo ecclesiastico il penitenziere... e questa regola dura ancora presso le altre sette». E Sozomeno2 dopo aver parlato dell’abolizione del penitenziere a Costantinopoli per ordine di Nettario, soggiunse: «L’uso del penitenziere dura ancora presso tutte le altre sette (meno quella dei Novaziani) ed è scrupolosamente osservato nelle chiese occidentali e principalmente nella chiesa romana». Prego il lettore di tener bene a mente queste ultime parole.

In fine poi del brano che esaminiamo, è detto, che ufficio del penitenziere era di «ascoltare gli apostati ecc.»; e poi subito dopo, come vedremo, è affermato, che non c’era altra confessione che la pubblica. Qui mi pare che ci sia della contraddizione. Per una confessione pubblica, che ha da essere sentita da tutti, come ci ha da volere un prete apposta per ascoltarla?

«... e costoro non solo erano obbligati alla confessione ma pure alla penitenza, e sempre pubblicamente.

Domandiamo noi se questa è la confessione dei nostri

  1. Vedi lo stesso Socrate citato dall’articolista, lib. 5 della sua Storia Eccl. c. 19.
  2. Lib. 7. cap. 16.