Pagina:Ardigo - Scritti vari.djvu/197


Discorsi 191

Aspromonte, quella di Mentana. Due parole della prima e dell’ultima,

I francesi venuti per rimettere in trono il papa, erano sbarcati a Civitavecchia e s’avvicinavano a Roma. Arrivatovi Garibaldi il 29 aprile, li aspetta il 30 sul Gianicolo: e si slancia ad assalirli in campo aperto alla testa di ragazzi imberbi, che combattono come gli antichi romani. I francesi sono battuti e sgominati da quelli che essi avevano insultato col dire «Gli italiani non si battono», lasciando 800 morti sul campo, 530 feriti, 360 prigionieri.

Intanto anche i borbonici, in numero di 20.000, accorrevano infesti. A Velletri, il 19 maggio, Garibaldi li affronta, li vince e li caccia indietro. Poi torna a Roma contro la quale si volgono di nuovo rinforzati i francesi, assalendo il 3 giugno con fedifraga sorpresa. Si rinnova tremenda la lotta. Al Vascello, al Casino del quattro venti, a Villa Corsini, a Villa Spada, gli italiani di Garibaldi combattono e muojono come gli eroi dell’Iliade.

Nulla di più grande nella storia di qualunque tempo. I veri giganti non si devono cercare nelle mitologie, ma nei Garibaldini del Gianicolo del 49.

Concittadini, voi lo sapete: fra quei garibaldini erano anche, nerbo principale dei combattimenti, i nostri della legione mantovana. Non uomini favolosi di secoli indietro o di lontani siti oltre i monti ed oltre i mari, ma dello stesso nostro sangue di oggi, che vedemmo un tempo qui imberbi noi stessi e incontriamo ora, i sopravvissuti, per le nostre vie storpiati e incanutiti. Noi siamo tanto superbi di loro, ed essi sono tanto modesti di se stessi!

L’assedio posto a Roma dai francesi ha il suo esito fatale il 2 luglio: e Garibaldi sulla piazza del Vaticano arringa così le milizie: «Vi offro fame, sete, marcie forzate, battaglie e morte; chi ama la patria mi segua».