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184 | Scritti vari |
Il mare è scuola di libertà; ma solo per gli arditi che non lo temono, e vi trovano così l’occasione di educarsi al coraggio e al disprezzo della vita, onde affrontano il terrore delle sue profondità, e vincono la possa delle sue onde, reggendo con maestria le vele e il timone di un fragile legno.
Come Garibaldi.
Una volta sulla Scoropilla, risalendo il fiume non lungi da Montevideo, le armi accatastate nella stiva presso la bussola ne volsero l’ago, sicchè, deviato il corso, si trovò, in tempo di burrasca, proprio in mezzo agli scogli. Il legno flagellato dai marosi, la vela in brani, lesto come un uccello, egli, dalla verga di trinchetto, diresse il timoniere. Sembrava ai marinai spaventati che fino il bastimento obbedisse alla sua voce, tanto presto gli venne fatto di trarlo da quelle punte che pareva ogni momento dovessero infrangerlo.
Garibaldi fu il figlio del mare. Da esso ci venne, e vi tornò, sostando i drammi delle battaglie della libertà; e, finito il compito del condottiere, fermò il suo volo e morì sopra uno scoglio in mezzo ai flutti procellosi.
E così devono gli italiani, come egli ci ha insegnato, volgere lo sguardo al mare.
L’Italia vi si distende tutta quanta e vi si accampa colle sue isole; e gli abitanti intorno intorno furono sempre marinai de’ più esperti ed arditi; i primi a lanciarsi per un mare sconosciuto e pauroso fino ai lidi del continente dell’altro emisfero. Le spiagge d’Italia guardano in giro le terre delle più antiche civiltà, che una volta si accentrarono sotto lo scettro di Roma, e furono poi tributarie dei commerci mondiali delle nostre potenti repubbliche del medio evo. Pel mare che lo circonda l’Italia può andare da ogni parte; ma da ogni parte possono venire i nemici ad assalirla. Forte in mare, a tutti si può imporre; debole, da tutti ha da temere.