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insegnava una volta, per un misterioso commercio dell’anima col corpo, anche nell’anima, dove lascia un certo che ben diverso dalla cupola, certamente non così grosso, che chiamasi idea. Quando poi penso a questa idea p. e. stando comodamente assiso al mio scrittoio, allora ho nella testa la sola idea; e, quindi non faccio confronto, ma solo ripenso alla cupola per mezzo dell’idea. Or bene, se nell’un caso e nell’altro io dicessi che la cosa, cioè la cupola non è altro che una mera percezione, un semplice pensiero, non mi si darebbe a ragione del matto?

Filosofo — Ma non capite che l’idea non è che idea, ma però una realtà in sè stessa?

Ignorante — Oh! Povero il mio cervello! Dunque ho nella mia testa realmente la cupola di S. Andrea!

Filosofo — Quanta pazienza cogli ignoranti! La cupola non ci ha che fare. La realtà dell’idea non ha bisogno di essere riferita ad un oggetto di cui sia immagine (Vedi il dialogo precedente).

Ignorante — Cioè, non c’è obbligo che esista realmente quella benedetta cupola. Essa è una mera percezione, un semplice pensiero; e vuol dire un sogno della mia mente. E dalla cupola passando a tutte le altre cose visibili ed invisibili, tutto è mera percezione, semplice pensiero. Scusate, signor filosofo, un’altra volta vi additai un luogo dove potreste insegnare la vostra filosofia, ed ora sarei in pensiero di aggiungere al consiglio una calorosa esortazione. Non ve ne offendete mica, se pare così che vi stimi un matto. È questa una mia idea, la quale non avendo bisogno per essere concepita come tale, di essere riferita ad un oggetto di cui sia immagine, io posso darvi del matto da mattina a sera senza che abbiate ragione di lamentarvene. Anzi gli stessi vostri lamenti, quando li confronto col signor filosofo, non essendo che una mera percezione, un semplice pensiero, entratomi non so come, in capo, scomparendo la cosa, che siete voi, rimangono un vuoto suono, anzi neppur suono ma un mio sogno. Ma guardate se la fantasia umana, cioè la mia,