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ANEDDOTI E VARIETÀ
I CORSI E LA CORSICA ALLA FINE DEL SECOLO XV.
(Da due epistole di Antonio Ivani)
Dei Corsi e della Corsica si è scritto assai; ma troppo spesso, non romanzieri soltanto ma anche scrittori di geografia e di storia, hanno narrato di quegli isolani solo l’animo fiero e pugnace che li rende, tra due regioni fiorenti di coltura e di civiltà, quasi un fenomeno nuovo e strano. Onde, male accozzate le cognizioni raccolte qua e là sulla vita selvaggia e libera di quei montanari, con quelle altrettanto scarse e incomplete sulla grande e fiera storia delle lotte che essi soffersero senza posa per la libertà, non è che troppo facile riscontrare anche oggi presso molti una nozione vaga e povera dei Corsi, come di popolazione che viva liberamente, male obbedendo al freno delle leggi, lunge dalla civiltà, cercando il più sovente nelle giogaie più inaccessibili dei monti rapine e vendette, in un’isola rocciosa e incolta battuta dai venti e dal mare. Tale, e non più esatta o più larga, la cognizione che della Corsica molti hanno nel nostro paese: cognizione che anche oggi, come una volta, mantiene quel!’ isola bella quasi solitaria e ignorata a poche miglia da spiaggie e da terre che nella loro storia e nella loro vita di ieri e di oggi tutti ricercano ed amano.
Ora, se tale oggi, quale dovette apparire un giorno, quando il nome di colui che fu (e resterà, forse) l’ultimo dei conquistatori d’Europa, non aveva ancora riempito tutto il mondo della fama dell’umile Corsica? quando arrivava appena ai popoli del continente ii fragore lontano di una lotta infinita rinascente ogni giorno e il grido di libertà e di vendetta e di dolore degli isolani e il rimpianto degli esuli e l’eco delle magnifiche imposture d’un re da commedia? E quale dovette quella terra apparire in epoca più lontana ancora, quando tutta la vita d’Italia si concentrava e si espandeva nella esuberanza meravigliosa del Rinascimento, se non una terra di orrore, un nido di sangue, un covo invincibile di barbarie?