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il p. vincenzo marchese 375

fondo, siamo in presenza dell’eterna lotta tra la forza fisica e la morale, tra lo spirito e la materia. «Questa lotta, ove trattisi di religione, succede sovente tra la fede e la ragione; nella filosofia, tra l’ideale e il reale; biella politica, tra il diritto e la forza; nelle arti, fra il concetto e la forma. Nel conserto amichevole di queste due cause, è la virtù, la felicità e la bellezza. Nel tempo del conflitto, la reazione, esagerando i principii riesce alle esorbitanze, all’errore, alla ingiustizia e alla deformità. Cosi, l’esagerazione dell’idealismo in filosofia conduce allo scetticismo assoluto; e quella del realismo, mette senza meno al materialismo. Nella religione, l’esagerazione della fede, tal fiata, è a scapito della ragione, come nell’Islamismo; quella della ragione nuoce alla fede, come nel Protestantismo. Nella politica, l’esagerazione del diritto, porta difilato al socialismo e al comunismo; nella esagerazione della forza, a scapito del diritto, sta il dispotismo. Tanto avviene nelle arti. Chi è troppo inteso a coltivare e ad accrescere le potenze inventive del sentimento e dell’immaginazione, trascura facilmente lo studio del vero e trascende in creazioni bizzarre, fantastiche e false: mentre, per lo contrario, quegli che eccede nello studio del vero, va incontro di leggieri a spegnere la forza creatrice del genio, ricopia, fa ritratti...» Sono semplici pensieri; ma in tanti e tanti volumi non s’è detto di più.

Diciamo ora brevemente della storia di San Marco, della quale potè scrivere soltanto tre libri, che portano il racconto sino alla vigilia dell’Assedio di Firenze. Più che storia domenicana, questa è veramente storia fiorentina e italiana. Infatti campeggia nel primo libro la figura di Sant’Antonino, nel secondo quella del Savonarola, nel terzo quella di Giulio II. Dopo narrato come e quando i frati predicatori vennero la prima volta in Toscana, e del bene che fecero nei primi tempi portando parole di pace tra le feroci lotte delle fazioni, e della decadenza a che l’ordine venne quando si fè’ «ghiotto di nuova vivanda», parla lungamente di Sant’Antonino, che alla restaurazione e alla riforma de’ suoi ebbe tanta parte e fu «fondatore e padre del convento di S. Marco». Vinta, per l’intromissione della Repubblica, l’opposizione dei monaci Silvestrini che prima lo possedevano, i domenicani presero possesso di S. Marco nel 1436. Ma poichè la chiesa e la casa erano cadenti e non atte alla nuova famiglia più numerosa, si rifecero