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348 il libro di antonio billi

Messere in Eliseo, Dello in del, e fiorentino in fino). Questo si deduce dal confronto della notizia del Petrei con quella contenuta su “Messere Dello fiorentino„ presso l’Anonimo Gaddiano, nella quale troviamo raccontate (con le medesime parole tolte dal comune loro originale) le stesse cose narrate pure dal Petrei. Le ripete anche il Vasari nella sua vita di Dello. Della storia d’Isaac surrammentata rimangono alcuni avanzi nel primo chiostro di S. Maria Novella. Dagli annotatori del Vasari-Lemonnier anche l’affresco che precede la detta storia, vien attribuito al nostro maestro (Vedi Vasari II, 159), mentre i Signori Crowe e Cavalcaselle gli danno tutte le ventiquattro storie del Genesi nei due lati di mezzogiorno e di ponente.


(Spinello.)

(110) Evidentemente il copista dopo il nome ha omesso la parola “padre„ che si trova così nello Strozziano come nel Gaddiano. Che poi Spinello non fu nè padre nè figlio di Forzore, viene dimostrato nella nota 1, pag. 693, t. I, del Vasari-Milanesi.

(111) Non per la cagione qui addotta, ma perchè invero era nativo di Arezzo, gli viene il sopranome di Aretino. (Vedi Vasari I, 677, nota 1). L’opinione erronea che gli Spinelli d’Arezzo sieno discesi da quelli di Firenze si trova già nel Libro d’Antonio; leggiamo infatti, nella notizia su Spinello nello Strozziano: “i suoi usciti di Firenze per le parti s’erono ridotti a Arezzo.„

(112) È uno sbaglio del nostro copista, ma in questo caso proprio inesplicabile, se scrive essere in Arezzo la chiesa di S. Miniato a Monte. Nello Strozziano e nel Gaddiano non si riscontra questo sproposito. Del resto è strano, che il Libro d’Antonio delle tante e tante opere di Spinello non habbia rammentato se non le sole pitture nella sagrestia della detta chiesa, come si sa, tuttora esistenti.


(Andrea del Castagno.)

(113) Anche il Vasari racconta questa storia più prolissamente, tolta da lui dalla medesima fonte, donde la copiarono il Petrei e gli altri due codici.

(114) Questa frase proviene dal Proemio di Crist. Landino.

(115) Delle pitture nella cappella maggiore di Sant’Egidio, da lungo tempo distrutte, parla diffusamente il Vasari, raccogliendo pure dal Libro d’Antonio la storia dell’ammazzamento di Domenico Veneziano (t. II, p. 673 segu.); questa però dal recentissimo annotatore delle sue Vite fu provata che non regge ai fatti.

(116) Queste due pitture non esistono più; invece sono in essere il S. Giovanni (di cui l’autore del Libro d’Antonio fa un S. Girolamo), e il S. Francesco al lato alla cappella de’ Cavalcanti, rammentati nel passo seguente. Però si dubita se non siano di Domenico Veneziano.