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312 il libro di antonio billi

certi modi di dire che non essendo pure del secolo del suo copista, sono nientemeno riprodotti fedelmente, e che perciò rivelano la sua esattezza nel copiar l’originale. — Tutti questi distintivi mancano al Cod. Petrei; il quale anzi ne mostra i contrari. Per quanto riguarda in specie gli sbagli, le scorrezioni e inesattezze da lui commesse, oltre quelle già additate, ne registreremo molte altre nelle annotazioni che fanno corredo al testo stampato più avanti. — Che poi il Cod. Gaddiano non si sia attenuto così strettamente al testo d’Antonio Billi, come i due altri, questo si desume chiaramente dal confronto dei relativi testi; e che esso all’infuori della detta fonte ne abbia messo a profitto pure altre, specialmente il Commentario del Ghiberti, fu da noi, che in questo non avemmo se non a seguir le orme del comm. G. Milanesi, accennato ripetutamente nel corso della presente Memoria.



Per condurre questa a fine non ci resta altro che dire ancora poche parole sul libro del Billi stesso. Quando fu esso composto? chi era il suo autore? a quali fonti attinse egli per la sua compilazione? quali autori posteriori si giovarono di questa per i loro scritti? Se a tutte queste domande non si può trovar una risposta soddisfacente, siamo almeno in grado di determinare con sufficente precisione il tempo della sua composizione. Nella biografia di Donatello il suo autore dice esser la Giuditta collocata nella «Loggia de’ nostri Signori,» e il David nel cortile del «Palazzo di detti Signori.» Ora si sa che la prima fu trasportata colà il 10 giugno 1506, che il magistrato dei Signori cessò di esistere il 1.o maggio 1532 e che il duca Cosimo I andò ad abitare nel Palazzo Vecchio il 15 maggio 1540 (1). Se l’autore del Libro d’Antonio l’avesse composto dopo il 1532 più certo dopo il 1540, non si sarebbe servito dell’espressione: «Palazzo dei Signori,» ma avrebbe detto come il Gaddiano: «Palazzo del Duca». Da queste date adunque l’epoca

  1. Vedi Landucci, Diario fiorentino, edito da I. Del Badia. Firenze, 1883, pag. 276, 370 e 376.