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frate mansueto pseudo-vescovo aretino 133

riale. E questo finalmente ottennero non senza poche difficoltà. Con una lettera poi del 10 novembre 1331 essi informano il cardinale Matteo Orsini loro procuratore e lo stesso papa Giovanni della esultanza del popolo aretino, delle grandi feste che si fecero «per luminaria et falones et astiludia et alios iocos seculares» tostochè si pubblicarono le lettere apostoliche: annunziano ancora avere nell’animo la reverenza alla Chiesa Romana, a cui non recherebbero giammai pregiudizio nè con parole, nè con fatti; dichiarano avere osservato l’interdetto, discacciato l’antivescovo Mansueto, gli pseudocanonici, tutti coloro ch’erano stati beneficati da papa Niccolò, e i frati minori, i quali, parteggiando per l’illegittimo vescovo uscito dal proprio ordine, si mostravano disobbedienti. Indi non lasciano di lamentarsi delle mendaci accuse che si suggerivano alle orecchie del pontefice dal Legato di Lombardia, e soggiungono: «credimus tamen, immo sumus certissimi, quod infamationes iste procedunt suggestione et opera illius de Ubertinis, aretini electi, specialis inimici nostri»: si raccomandano non si presti fede a tutto quanto si dice in Corte, imperocchè le insinuazioni malevoli provengono dagli emuli e dai nemici di casa Pietramalesca, cioè da Neri figlio d’Uguccione della Faggiola, da Ribaldo dalla Gattaia e dai Conti di Montedoglio.

Ma siffatte proteste non erano del tutto veritiere, nè corrispondevano al loro sentimento di parte, e a quanto operavano, poichè come sostenitori tenaci del ghibellinismo, essi seguitarono a contrastare e colla autorità e colle armi ai partigiani della Chiesa nei confini di Perugia, e, dentro la città, al legittimo vescovo Boso Ubertini. Finalmente Pier Saccone, perduta ogni fiducia, perchè aveva mal ridotto il Comune con guerre infruttuosamente sostenute, abbattuto dai guelfi e dal popolo che andava acquistando il regime, non potè più reggere la signoria d’Arezzo, e fu costretto a tradire ai Fiorentini la città e il territorio. L’istrumento della cessione si stipulò nel palazzo del popolo di Firenze il 7 marzo 13371. Anche qui appare quanto persistesse nell’animo di Saccone la rivalità contro Boso. V’è incluso un capitolo, in virtù del quale il Comune di Firenze doveva esser tenuto «ad obviandum scandala que oriri possent Aretii occasione episcopatus civitatis predicte, sicut hactenus orta fuerunt», sollecitare con ogni premura il papa e i cardinali ad insignire l’Ubertini di un altro vescovado, e a porre in quello aretino messer Bartolomeo da Pietramala arciprete della Pieve di S. Maria, cugino di Pier Saccone, Ma poichè il trat-

  1. Archivio di Stato di Firenze, Capit. XXII, c. 37.