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54 delle feste e dei giuochi

alcuni por adulazione, altri per ereditario amore alle marittime imprese»1.

Intanto l’annata non potea giungere più opportuna ai disegni dell’Angioino. Espugnò Procida, Castellamare, Vico, Sorrento, Massa ed altri luoghi del golfo; poi strinse d’assedio e prese la stessa Napoli, senza inferire il menomo danno agli abitanti: «esempio di moderazione.... quasi singolare e divino»2. Se non che il Torello, che, buon condottiere di fanti anzi che sperto capitano di mare, non avea saputi usare convenevoli diportamenti verso i patroni delle navi, poichè si fu a Genova restituito (26 maggio 1424) ebbe cagione di querelarsi, per essere a lui mancate quelle festose accoglienze onde solevano presso al molo riceversi gli ammiragli. Di che sommamente sdegnato, si ridusse a Milano. Indi a poco il Visconti spiccava lettere e messi a Genova, con ordine di rimettere al Torello il vessillo, che già i magistrati aveano riposto nel tempio di San Giorgio; nè la forma del comando lasciava luogo a replicare. Ma «l’indegnazione de’ Genovesi, ognuno dal proprio cuore l’estimi»3.

Una tale circostanza però giova a farci conoscere come fosse uso di lasciare in proprietà ai capitani delle flotte quello stendardo medesimo ch’eglino aveano seco recato nelle loro imprese: testimone e trofeo delle riportate vittorie. E più vale il sapere come nella chiesa gentilizia di San Matteo si videro appunto fino all’anno 1797 non pochi vessilli conquistati dai D’Oria sui nemici, ovvero da essi recati nelle battaglie cui aveano supremamente indirizzate. Del qual novero era pure lo stendardo che il Doge avea con singolar pompa consegnato nella cattedrale ad Andrea D’Oria (23 ottobre 1553), pochi dì innanzi

  1. Serra, Storia dell’antica Liguria e di Genova, vol. III, p. 117.
  2. Serra. III, 119.
  3. Id. ib. 120.