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della poesia di virgilio 525

lia e a tutte le genti della civiltà latina i versi di questo poeta; anzi lo resero viemaggiore, inquantochè i monumenti, fuor del luogo in cui sono, non possono ispirare se non se per una languida aura di rama, ma il libro parla dovunque è intesa la lingua, e anco a chi non sa leggere suonano le parole di quello, ripetute a mo’ di proverbio o d’adagio, quasi esse stesse persona viva. E la parola dal senso penetra all’anima, e vi rimane documento perenne insin che la memoria ne basti: prova anche questa di quanto lo spirito superi la materia in potenza. Per meglio imprimere nello menti de’ posteri la propria parola quasi sacro sigillo, Virgilio delle bellezze di natura e d’arte studiò, sin che visse, a imprimere l’anima propria. E già innanzi che il segreto della fotografia fosse dalla scienza scoperto, l’anima umana, e nel poeta e nel fanciulletto e ne’ dotti e nell’umile popolo, riceveva, così preparata da Dio, più o meno nettamente per la luce dell’alto, e serbava in sè stessa, le immagini delle cose. Virgilio fu osservatore più coscienziato e più acuto che molti degli scienziati superbi, i quali non vogliono nelle cose vedere se non quello che han già nella lorc celloria pregiudicato. Virgilio con un verso, con una parola, delinea il vero de’ luoghi, il bello delle particolarità, lo delinea non come chi va lucidando o copiando, ma come chi nel ritrarre ravviva e ricrea. In un bel passo del suo libretto, Ella ci fa in nuovo modo sentire, perchè l’ha provato costì sopralluogo, come gli spirasse poesia dal paese ove corre il Galeso1: ma tutti gli accenni al Timavo e al Norico, al Benaco e all’Adige e al Mella, all’Italia del centro e del mezzodì2, mostrano come il suo sguardo fosse verace, e come la parola ubbidisse allo sguardo, meglio che in Dante sovente non faccia, con franca docilità, con fedele eleganza. Per informare di verità esatta il suo metro, che in lui è non pur poetica ma razionale misura, e’ visitò . religioso pellegrino dell’arte, le coste d’Epiro e di Grecia; quasi presago della morte che acerba, ma forse invocata, lo coglierebbe nel dì d’una grande vittoria della civiltà sopra la tirannide

  1. G. 4.
  2. B. 1, 7, 9, 10; G. in tutti e quattro; E. 3, 5 e negli altri tutti.